Da oltre cinquant’anni Edna O’Brien è una delle voci più note della letteratura irlandese: l’icona ribelle degli anni sessanta e l’autorevole decana di oggi sono unite da una prosa elegante e godibile, capace di sondare senza retorica le vertigini della passione amorosa e di quella politica. La carriera della scrittrice è stata spesso al centro dell’attenzione mediatica, anche a causa di prese di posizione sul conflitto nordirlandese che hanno fatto sì che nel corso degli anni novanta O’Brien sia stata accusata di sostenere la lotta armata dell’Ira. Il suo romanzo d’esordio, Ragazze di campagna, pubblicato nel 1960, viene proposto ora in una nuova eccellente traduzione di Cosetta Cavallante (Elliott, pp. 256, euro 17,50). La curadella traduzione, che riesce a conservare in italianoanche alcuni complessi giochi di parole, permette di apprezzare la forza di uno stile che ha influenzato in modo duraturo il mondo letterario, tanto da indurre Philip Roth a indicare in O’Brien la migliorscrittrice vivente in lingua inglese.

Può darsi che ilgiudizio sia il frutto di una amicizia, ma indiscutibilmente le opere di O’Brien hanno segnato una nuova fase dellacultura anglosassone. Ragazze di campagna è il primo di una serie di volumi di O’Brien in uscita per le edizioni Elliott: un’operazione meritoria che renderà presto disponibili anche opere più recenti della scrittrice.Tra queste Country Girl, al singolare, l’autobiografia pubblicata l’anno scorso e accolta da numerosi riconoscimenti. O’Brien, che oggi ha ottantadue anni, ha sempre sostenuto l’importanza dell’intreccio tra vita e elaborazione artistica, per questo motivo quando Ronald D. Laing – che oltre a essere un caro amico era il suo psicoanalista – la convinse a provare l’Lsd sotto la sua supervisione per entrare in contatto con i ricordi d’infanzia seppelliti nella memoria e fare finalmente i conti con se stessa, la scrittrice accettò la sfida. Era il 1970 e da un decennio O’Brien era una delle figure più autorevoli e conosciute della Swinging London, la stagione in cui la cultura britannica cercò di lasciarsi alle spalle il perbenismo bigotto del dopoguerra. Il sabato nelle celebri feste a casa O’Brien si potevano incontrare Sean Connery e la principessa Margaret, Marianne Faithfull e Richard Burton e con loro decine di scrittori o aspiranti tali. Proprio Connery, che aveva già fatto la stessa esperienza con Laing e ne era rimasto sconvolto, aveva cercato di dissuaderla. Invano.

Per O’Brian era diventato imperativo cercare di dare voce al proprio «sé trascendente» liberato dalle convenzioni borghesi. Inoltre l’essere donna rendeva la sfida ancora più eccitante e necessaria. L’esperimento con Laing l’avrebbe lasciata prostrata per diversi mesi, ma anche quell’esperienza si sarebbe rivelata fondamentale per il grande affresco della cultura irlandese cui O’Brian lavora da più di mezzo secolo. Alcool e droga per spalancare le porte della percezione, letteratura e musica per dare voce a nuove forme di relazione, e al centro di quel mondo lei, Edna O’Brien, una ragazza di campagna nata a Tuamgraney, un villaggio della contea di Clare, nel cuore di un’ Irlanda rurale e ultrareligiosa. Erano bastati pochi anni a O’Brien per diventare emblema della donna nuova degli anni Sessanta: disinibita, professionalmente ambiziosa e decisa a prendere le distanze dalla femminilità remissiva e dolente idealizzata dal cattolicesimo. La svolta arrivò proprio con la pubblicazione di Ragazze di campagna, il suo travolgente esordio narrativo. Le giovani protagoniste del romanzo sono Caith e Baba. Nel 1949, quando la storia ha inizio, hanno quattordici anni e stanno per lasciare il villaggio in cui sono cresciute per continuare gli studi in un convento di suore. Baba appartiene all’élite del piccolo mondo che le circonda: suo padre è veterinario e la sua famiglia cerca di aderire, negli abiti e nei modi, a un ideale di raffinatezza che segnali la propria lontananza dalla miseria che accomuna contadini e piccoli commercianti.

Di quel mondo umile e disperato fa invece parte Caith, la voce narrante, figlia di un agricoltore con la passione per le scommesse e abituato a cancellare con l’alcool la delusione per l’ennesimo insuccesso. La presenza minacciosa del padre proietta un’ombra di violenza sul romanzo a partire dall’incipit: «Mi svegliai di soprassalto e mi ritrovai seduta sul letto. Mi sveglio così in fretta solo quando sono preoccupata per qualcosa, e per un attimo non capii perché il cuore mi battesse più forte del solito. Poi ricordai. Il motivo era quello di sempre: lui non era tornato a casa.» La storia si apre il giorno in cui la madre di Caith si allontana da casa per sfuggire alla brutalità del marito e muore in circostanze misteriose. Siccome il padre non è in grado di badare a lei, Caith viene affidata alla famiglia di Baba in attesa che le ragazze si trasferiscano insieme nel convento dove inizieranno il liceo. La loro amicizia non ha nulla di scontato: Baba conosce le fragilità di Caith e non smette mai di sottolineare la differenza di classe che le separa. Il loro rapporto è ricamato sullo sfondo di un sospetto che neppure anni di vicinanza riescono a disspiare del tutto. A prevalere è però il desiderio di confronto e condivisione: le due donne rimarranno alleate pronte a sostenersi a vicenda negli anni di collegio prima e in seguito a Dublino, capitale grigia e dimessa che sembrerà loro una metropoli cosmopolita e tentacolare, in cui trasgredire ogni precetto alla ricerca di una vita diversa da quella delle loro madri.

Nel 1960 Ragazze di campagna fu un succès de scandale internazionale, e la descrizione minuziosa dei riti e delle ipocrisie del mondo cattolico ne causarono la censura in Irlanda, dove arrivarono poche copie, quasi tutte – almeno così vuole la leggenda – bruciate sul sagrato della chiesa di Tuamgraney con il consenso della famiglia O’Brien. Era la prima volta che un romanzo di formazione quasi esclusivamente femminile riusciva a catalizzare l’attenzione del pubblico e della critica. Nel giro di pochi anni altre storie che avevano al centro l’esperienza delle donne avrebbero trasformato il mondo editoriale e la società: Il gruppo di Mary Mc Carthy e La mistica della femminilità di Betty Friedan uscirono pochi anni dopo, nel 1963, e diedero impulso alla seconda ondata del movimento femminista. Ragazze di campagna fece da detonatore alla consapevolezza, più viscerale che teorica, delle differenze presenti nella versione femminile dell’apprendistato esistenziale narrato in decine di Bildungsroman maschili. Alla fine degli anni cinquanta due libri di memorie avevano aperto la strada su cui si sarebbero avviate le ragazze di O’Brien: le Memorie di una ragazza perbene di Simone De Beauvoir e i Ricordi di un’educazione cattolica di Mary McCarthy.

Le avventure di Caith e Baba devono però altrettanto all’esempio di James Joyce, le cui opere – incrociate per caso in un libro trovato su una bancarella durante una delle prime passeggiate dublinesi di O’Brien – rivelarono a quella che era all’epoca una giovane commessa piegata dai sensi di colpa che la sua storia, le storie delle cene raggelanti, delle amarezze e dei rancori di una famiglia irlandese come tante, poteva racchiudere interi mondi narrativi. Dopo mesi passati a ricopiare i paragrafi del Ritratto dell’artista da giovane per godere della precisione limpida e implacabile dei dialoghi joyciani, O’Brien cominciò a scrivere i primi racconti e a tenere una rubrica su una rivista. Il successo di quegli articoli su vezzi e timori delle donne dublinesi indusse un editore a proporre a O’Brien un contratto per un romanzo. Scritto in poche settimane, Ragazze di campagna è in apparenza molto lontano dalla prosa joyciana, ma forse non è sbagliato ipotizzare che, come ha suggerito un critico irlandese, quella raccontata da Caith sia la vera storia di Molly Bloom.