Nella legge di stabilità c’è un codicillo (il 29 dell’articolo 28) che moltiplicherà di contratti precari nell’università. Nella bozza che si sta discutendo in parlamento, il governo intende eliminare il vincolo di attivazione di un ricercatore a tempo determinato «di tipo B» (l’unico con prospettiva di stabilizzazione) a fronte dell’assunzione di un nuovo ordinario. Se il comma verrà approvato, ogni volta che si bandirà un posto da ordinario, per essere in regola basterà assumere un ricercatore «di Tipo A», cioè a scadenza breve.
Questa misura velocizzerà l’esodo dei giovani ricercatori italiani dall’università. Secondo alcuni dati ricavati dall’indagine in corso «Ricercarsi», infatti, negli ultimi 10 anni su 100 ricercatori l’università italiana ne ha espulsi più di 93, mentre gli assunti sono stati solo il 6,7%. Non solo: nel 2014 l’università italiana è «dimagrita» di 2183 docenti e ricercatori. A fronte di 2324 pensionamenti sono stati attivati solo 141 ricercatori «di tipo B». Nel frattempo sono aumentati i precari, le figure che permettono alle facoltà di sopravvivere. Gli assegni di ricerca attivati annualmente sono passati da circa 6 mila nel 2004 a oltre 14 mila nel 2014. Quest’anno la legge Gelmini provvederà a tagliarli: quelli attivati nel 2011 hanno infatti un limite massimo di 4 anni. Tra poco niente altri ricercatori diventeranno disoccupati. Stessa sorte toccherà nel 2015 per i contratti da ricercatori a tempo determinato di «tipo A». Anche loro sono in scadenza secondo i parametri della legge 240 del 2010.
In una lettera inviata alla Commissione Istruzione del Senato l’associazione Dottorandi Adi ha chiesto il ritiro della norma e dei tagli ai fondi per gli atenei (34 milioni nel 2014): «La ricerca non può essere ostaggio della mentalità da sensale». Per Mimmo Pantaleo, segretario Flc-Cgil, è indispensabile superare i limiti temporali imposti ai ricercatori, ripensare il sistema di reclutamento. eliminare il contratto di assegno di ricerca, senza diritti né tutele e la divisione in ricercatori di «tipo A» e «B», oltre a misure immediate di rifinanziamento dell’università.