Ventuno senati accademici, 46 atenei coinvolti, 129 mozioni approvate contro la valutazione della ricerca scientifica (Vqr) e lo sblocco degli scatti stipendiali dei docenti. Dal bilancio provvisorio stilato da Roars, il sito di contro-informazione sulle politiche universitarie e della ricerca, potrebbe mancare qualche atto, ma la notizia c’è: nell’università italiana esiste un inedito fronte della protesta contro lo strumento di governo per eccellenza delle intelligenze, della vita accademica e dei destini dei precari: il moloch della Vqr introdotto a viva forza dalla legge Gelmini. Si sa che i docenti universitari non sono particolarmente pronti di riflessi. Hanno impiegato quattro anni per uscire dal congelatore e prendere parola. Ora sembra che il dado sia stato tratto.

Le mozioni approvate da Nord a Sud, isole comprese, sono tre. Sono state votate dai dipartimenti e in alcuni casi dagli organi di governo degli atenei. La prima – cosiddetta «Ferraro» – avrebbe ricevuto l’adesione di 20 mila docenti e ha lo scopo di «ottenere lo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali con decorrenza 1° gennaio 2015» e cita la protesta contro la procedura ministeriale di valutazione dei «prodotti della ricerca», l’acronimo è «Vqr», il temibile fantasma che agita le catene della «meritocrazia» contro docenti e studenti. La seconda è la mozione «Semplici». Il testo si presenta più determinato e offre alcune tracce per ricostruire cosa è realmente accaduto nel deserto degli atenei in questi anni: «Sono sotto gli occhi di tutti alcuni effetti prodotti non dalla valutazione in quanto tale, ma dalle modalità con le quali è stata realizzata – si legge – La didattica è stata marginalizzata, gli incentivi sono stati concentrati sui prodotti della ricerca. Per chi aspira a “fare carriera” ogni ora trascorsa al servizio degli studenti appare come un’ora di tempo perso».

Ancora più interessante è il giudizio sullo stato dell’arte della valutazione: «Le nostre comunità di ricerca sono state trasformate in falangi armate secondo la logica non più semplicemente del publish or perish [pubblica o muori], ma addirittura del publish and kill [pubblica e uccidi]». E poi veniamo alla metafisica di tutti i riformatori «made in Italy»: il merito. «Questa parola è stata usata per giustificare una brutale riduzione del finanziamento al sistema universitario, che era già ai livelli minimi fra i paesi più avanzati». Solida considerazione fattuale: ai tempi Gelmini e, ancora più oggi in epoca renziana, la «meritocrazia» è servita da foglia di fico per giustificare un drenaggio di risorse economiche e umane ai danni della parte più debole di un sistema malmesso: le università del Sud. Non che quelle del Nord siano messe meglio. Sono solo state messe in grado di sopravvivere ai danni prodotti dall’austerità, ai tagli e al sistema della competizione tra università-zombie. Oggi, sulla zattera dei naufraghi, i più forti divorano i più deboli. E per un certo periodo passeranno per «eccellenti». Ma la fine è nota.

Nella mozione «Semplici» si parla anche di «disobbedienza», si fa appello agli studenti a non considerare la protesta solo come «un affare dei professori». Si elencano richieste puntuali per porre un freno all’entropia del sistema e si propone una via pratica al boicottaggio. Visto che ogni ricercatore oggi è diventato un codice fiscale – si è visto imporre un acronimo disumano, l’«Orcid» – la mozione suggerisce di sganciare il numero dagli archivi di ateneo e da quelli ministeriali del Cineca. In questo modo non si dovrebbero contabilizzare le pubblicazioni per la valutazione di ateneo.

La terza mozione sottoscritta dalla Rete 29 Aprile e dal Conpass dei prof associati – realtà nate già prima della protesta anti-Gelmini, come raccontato da Il Manifesto. Insieme alla Flc-Cgil hanno elaborato un testo che riprende la versione «Semplici» dove si ricorda l’allarme lanciato dalla Crui dei rettori sulla situazionedegli atenei. E si prefigura lo scenario in caso di mancata risposta da parte del governo e dal parlamento. Per il momento non c’è stata risposta. Richieste avanzate all’Anvur, l’agenzia che governa la valutazione, sono state ignorate. In un apparente letargo, alcuni segnali ci sono. Le voci contrarie crescono. E gli scatti sono tornati, ma sono esigui. Come i progetti Prin. Nel frattempo si è fatta sentire la protesta degli studenti contro i tagli al diritto allo studio e i nuovi criteri Isee. Il governo e il Pd continuano a rimandare la ««Buona Università»,. «Non serve una nuova riforma» ha ribadito ieri la ministra Giannini. Il sistema fa fatica a sostenere la catastrofe del presente. Il motore del renzismo esita a innescare la retromarcia per chiamarla «ripresa».