Saranno solo amministrative, e per giunta un primo turno, ma il voto di domenica scorsa mette paura a ciò che resta del centrosinistra e del sistema maggioritario che favorisce le coalizioni. Cinque stelle esclusi dai ballottaggi, a conferma del mancato radicamento sul territorio e forse di un appannamento di attrazione per il “cedimento” della mano tesa del tentato accordo sulla legge elettorale.

Centrodestra in notevole ripresa e centrosinistra che tiene appena quando è unito. Flessione del Pd mascherata dalle tante liste civiche.

Per questo c’è agitazione nei dintorni del centrosinistra vecchio e potenzialmente nuovo. In molti invocano la scesa in campo definitiva di Giuliano Pisapia e l’appoggio che gli può venire da Romano Prodi, antico patriarca dell’Ulivo, da voci esterne al Pd (D’Alema, Bersani, liste civiche) e anche interne (Orlando, Cuperlo e chissà Franceschini). Si pensa a primarie con sale e pepe, a iniziative che diano niente affatto per scontata la candidatura a premier di Matteo Renzi. Si fa strada l’idea che senza novità politiche e di leadership si rischia di sbattere contro il muro della sconfitta.

FINORA SBAGLIAVA chi pensava che Pisapia avesse tutti i quarti di nobiltà politica per tentare di federare tra loro soggetti diversi della sinistra, pur possedendo un curriculum specchiato e coerente: brillante avvocato, militante di Democrazia proletaria nei primi anni settanta, da sempre garantista convinto e attento ai diritti civili, deputato eletto con Rifondazione comunista per due legislature dal 1996, ex stimato presidente della Commissione giustizia di Montecitorio, colui che ha riportato il centrosinistra al governo di Milano nel 2011 dopo un ventennio di predominio berlusconiano e leghista, fondatore di Campo progressista (con Boldrini, Grasso, Lerner, Tabacci tra gli altri) come soggetto politico. Nonostante questo invidiabile pedigree che non ha nulla da invidiare a quello sicuramente più contraddittorio di Massimo D’Alema, il suo tentativo di federatore ha avuto fin qui più antipatizzanti che simpatizzanti perché in tanti gli rimproverano troppe indulgenze verso Renzi.

IL PRIMO A SNOBBARLO è stato tuttavia proprio Renzi. Qualche telefonata di cortesia, qualche sporadico incontro, niente di formale fino alla recente dichiarazione di disponibilità a un apparentamento al Senato. Pisapia ha detto in tutte le salse di volere un centrosinistra con un “centro” e senza steccati a sinistra, di voler spostare a sinistra il baricentro di possibili alleanze per non ripetere antichi errori. Renzi non lo ha degnato neppure di un cenno. Più possibilista il vicesegretario piddino Maurizio Martina. Di conseguenza, il centrosinistra alla Pisapia resta una chimera, L’ex sindaco di Milano è invece apprezzato da Prodi, D’Alema, Bersani e dalla sinistra Dem. Lo individuano come il nome che può ridare sangue e motivazioni a una coalizione con future aspirazioni di governo senza Renzi in primo piano. Il che ha insospettito gli avversari di Pisapia.

CHI DETESTA politicamente Pisapia è infatti la sinistra più radicale. L’ex sindaco di Milano è messo all’indice per aver votato «Sì» al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre (il popolo del «No» è considerato il carburante della ripartenza), per lavorare alla rinascita di un centrosinistra che invece andrebbe buttato definitivamente nel cestino, per non vedere nel renzismo liberista il nemico principale, per non essersi candidato a un secondo mandato come sindaco di Milano lasciando lo scranno al moderatissimo Giuseppe Sala.

SINISTRA ITALIANA lega la sua proposta di listone unitario con Articolo Uno, Lista Tsipras, Possibile, Rifondazione comunista, movimenti e collettivi proprio all’idea di mettere nel cestino l’ipotesi di un centrosinistra di governo perché non in grado a proprio avviso di fermare populisti e nuova destra: anzi, li alimenterebbe secondo una analisi un po’ troppo sbrigativa. C’è anche chi ricorda un altro peccato di Pisapia: il non voto nel 1998 contro il governo Prodi, quando non obbedì a Bertinotti, non seguì gli scissionisti di Cossutta e scelse di restare per un periodo nel Gruppo misto.

COME FINIRÀ? Il ruolo di mediazione è affidato ad Anna Falcone e Tommaso Montanari che hanno convocato per il 18 giugno un’assemblea a Roma sulla base di un appello unitario: potrebbe scaturirne l’idea che sia quella la sede in cui si media tra le diverse posizioni e si elegge un coordinamento per verificare le condizioni del listone unitario. L’1 luglio ci sarà invece l’assemblea di Campo progressista promossa da Pisapia, dove l’ex sindaco dovrà dire nero su bianco cosa vuol fare insieme ai suoi sponsor. Tutto dipende però dalla incognita della nuova legge elettorale, dopo che non è più scontata la scelta del proporzionale.

A OGGI, LA PREVISIONE più accreditata dai bookmaker della politica è che non ci sarà alcuna coalizione di centrosinistra se non mettendo da parte Renzi. Che D’Alema e Bersani potrebbero fare una lista comune con Pisapia. Che Sinistra Italiana potrebbe invece promuoverne un’altra con pezzi e pezzetti della sinistra più radicale. L’eventuale sbarramento/tagliola al 5 per cento per accedere in Parlamento consiglia in ogni caso molta prudenza prima di procedere in ordine sparso. Primum vivere deinde philosophari, si diceva un tempo.