Una tentazione, nemmeno tanto nascosta, è quella di valutare la marcia dei 100.000 di sabato 20 maggio a Milano con l’occhio rivolto alle prossime elezioni e in particolare a quanto potrebbe avvenire a sinistra.

«Mettiamo assieme tutti i pezzi del centro sinistra e battiamo la destra» è la ricetta prontamente esibita da qualche commentatore politico. Ma è un ignorare i problemi senza tener in alcun conto la realtà, che è ben più complessa.

Dietro alla semplificazione elettorale vi è un modo di pensare che mette al centro del proprio sentire la paura, non la ragione, perché non si sforza di analizzare ciò che ha spinto decine e decine di migliaia di persone a riempire le strade di Milano.

Non è la prima volta che ciò accade; ed infatti già corrono i paralleli tra il 20 Maggio e la grande manifestazione del 25 aprile del 1994.

Allora la parola d’ordine era: tutti uniti contro il demone Berlusconi.

Sono seguiti 20 anni di “anti Berlusconi”, animati da un sentimento viscerale, ma spesso senza idee realmente alternative al sistema che sorreggeva le ambizioni dell’uomo di Arcore. Sono trascorsi 20 anni. È doveroso chiederci dove ci hanno portato. Che valori siamo riusciti a diffondere, che politiche, quali priorità hanno sostituito le strategie di Berlusconi.

Proviamo per questa volta a ribaltare quella logica che troppo spesso ci ha fatto accantonare i nostri contenuti, i nostri principi, per paura di quello che sarebbe potuto accadere. Sì proprio per paura; quello stesso sentimento che muove la fuga verso la destra di settori popolari in ambedue le sponde dell’Atlantico.

Proviamo questa volta a partire in modo diverso; cominciamo con il chiederci: chi è il popolo che ha marciato sabato 20 maggio e cosa lo muoveva. Noi pensiamo che questo sia il popolo della sinistra che ha votato No al referendum costituzionale. Pensiamo che ciò che lo ha portato in strada fosse scritto in migliaia di cartelli in tutti gli spezzoni della manifestazione:«No alla legge Orlando Minniti» e «Nessuno è illegale nel mio paese».

Pensiamo sia lo stesso popolo di sinistra che si è mobilitato con tanta passione per vincere il referendum sull’acqua pubblica, che ha detto No alla sua privatizzazione e che si è poi sentito tradito. Questi No sono già un programma: per i diritti, l’accoglienza, la Costituzione, i beni comuni.

E il “populismo” non c’entra nulla con l’affermare che bisogna partire dalla ragione e dal cuore di questo popolo.

Se non pratichiamo questa inversione nel nostro modo di pensare e nell’individuare le nostre priorità, se continuiamo a parlare solo di coalizioni e su chi è unitario e chi no, tutto si riduce ad un trasferimento di personaggi da un gruppo all’altro in cerca di salvezza personale e nella migliore delle ipotesi, in un passaggio di voti tutto interno ai gruppi della sinistra. Non è di questo che ha bisogno la sinistra e la democrazia in questo Paese.

Ha bisogno di recuperare chi si è allontanato dalla politica o è finito nella vuota rabbia elettoralista dei 5 stelle.

È corretto partire dalla manifestazione del 20 maggio anche per rispondere ai bisogni politici di questo popolo?

Certamente. Ma partendo da ciò che esprimiamo ogni volta che ci sentiamo liberi dalle gabbie e dalle paure politiche delle elezioni.

Partire per unire. Certamente, cominciando ad unire politicamente ciò che, a sinistra, il referendum per la Costituzione ha unito.

Cominciamo ad unirci attorno a quanto abbiamo scritto sui cartelli e detto tutti in questa memorabile giornata. Da quei messaggi, da quei valori, da quelle volontà individuali e collettive, da quegli entusiasmi può nascere un soggetto unitario in grado di superare recinti ed operazioni politiche di piccolo cabotaggio e di corto respiro.