E con questo sono cinque. Per la quinta volta, i residenti di Venezia sono chiamati ad esprimersi sulla divisione dell’attuale Comune in due amministrazioni autonome, una per Venezia e una per Mestre. Si tratta di un referendum solo consultivo ma legittimato dal Consiglio di Stato e, pur se con qualche resistenza, anche dalla Regione Veneto che ha stanziato gli 800 mila euro necessari allo svolgimento della consultazione. Se vincerà il Sì, la città d’acqua e la Terraferma si separeranno, ognuna con un suo sindaco e una sua amministrazione, proprio come chiede la legge di iniziativa popolare numero 8 che sta alla base del referendum. Se vincerà il No, o l’astensione, tutto rimarrà come adesso.

La tenacia dei separatisti, tra le calli di Venezia e le strade di Mestre, è diventata ormai proverbiale. L’ultima chiamata alle urne, nel 2003, è stata annullata per il non raggiungimento del quorum, appena il 39 per cento. Avrebbero comunque vinto gli unionisti con il 66 per cento dei voti. Le precedenti consultazioni, avvenute nel 1979 (affluenza 80%), nel 1989 (74%) e nel 1994 (68%), hanno ugualmente visto trionfare i No ma con percentuali sempre decrescenti. In ordine: 72%, 58% e 56%.

Gli ultimi sondaggi che sono girati sul web, vedono trionfare il club dell’astensione e degli indecisi ma con una leggera percentuale di Sì tra coloro che hanno manifestato l’intenzione di andare votare. Sono comunque tutte statistiche raccolte prima dei giorni dell’Acqua Granda. Tutto da vedere se e come la drammatica settimana del 12 novembre influirà sul referendum e sull’affluenza. Di sicuro, il tema della separazione non è stato al centro del dibattito politico degli ultimi giorni, tutto centrato su «Mose sì, Mose no» e sui progetti di difesa della città dall’assalto, che minaccia di essere sempre più frequente, delle maree e dei cambiamenti climatici.

Per i separatisti, il primo scoglio da superare sarà quello del quorum. Sotto accusa, il sindaco Luigi Brugnaro che ha espressamente invitato all’astensione e che ha fatto tutto quello che poteva fare, e anche qualcosa di più, per silenziare un referendum che lo priverebbe quantomeno di metà Comune. In caso di vittoria del Sì, il sindaco di Venezia sarebbe obbligato infatti a levare le tende e a scegliere dove presentare una sua ipotetica ricandidatura. Il suo invito a disertare le urne ha suscitato le ire della senatrice M5s Orietta Vanin che ha denunciato tutta una serie di censure operate dall’amministrazione. Ed in effetti, anche a voler prescindere dal fatto che per pescare un tabellone per le affissioni devi girare tutta la città e quando lo trovi è un formato ridotto, ai separatisti sono stati negati, e senza neppure la briga di una giustificazione, anche gli spazi pubblicitari a pagamento dell’azienda municipale dei trasporti. Ancora più grave la rimozione forzata da parte dei vigili urbani degli striscioni separatisti che alcuni cittadini avevano appeso alle loro finestre. Tutte operazioni che Vanin ha giudicato come un attacco ai diritti politici e civili dei cittadini.

Dei 5 Stelle va detto che da un iniziale «votate secondo coscienza» si sono convertiti al separatismo dopo l’entrata a gamba tesa di Grillo che nel Blog delle Stelle ha invitato a votare Sì perché «altrimenti tutto rimane uguale». Ancora più acrobatica la posizione della Lega, convinta separatista nei referendum precedenti, oggi astensionista ed allineata alle posizioni del sindaco che sostiene in maggioranza.

Andare a votare per rispetto dell’istituzione referendaria ma votare No è la posizione del Pd, dei Verdi e, in generale, della sinistra, pur con qualche voce discordante. Una su tutti, quella dell’ex candidato sindaco Felice Casson che propende per il Sì. Per il No anche Confindustria, Cna e Cgil. «Se fosse un referendum per l’autogoverno di Venezia voterei subito Sì – ha spiegato il ‘No Nav’ Tommaso Cacciari – Ma questa consultazione punta solo ad indebolire tanto Mestre quanto la città lagunare che diverrebbe marginale e non avrebbe più voce in capitolo né sui cieli, né sulle acque perché Porto e Aeroporto resterebbero al di fuori della sua competenza».