Il destino dell’Unità si conoscerà il primo febbraio. I soci di maggioranza (Piesse, dell’imprenditore Pessina) e di minoranza (Eyu, il Partito Democratico) ieri non hanno trovato un’intesa sulla ricapitalizzazione di un’azienda in profonda sofferenza e hanno rinviato la decisione di due settimane. Per il comitato di redazione hanno rinviato di fatto al primo febbraio la dichiarazione di liquidazione della loro società. Sul piatto resta anche la decisione choc preannunciata al comitato di redazione: licenziamenti collettivi senza ricorrere agli ammortizzatori sociali.

I giornalisti sono in assemblea permanente e oggi – per il secondo giorno consecutivo – non manderanno il giornale in edicola. E sparano a zero sul Pd e Pessina. «La loro decisione è, se possibile, ancora più grave di quella sui licenziamenti – spiegano – Sono inaccettabili le loro motivazioni sulla possibile messa in liquidazione della società editoriale. Entrambi dicono di volerla fare sopravvivere ma poi adducono condizioni, l’uno contro l’altro, da rendere di fatto impossibile trovare un accordo».

In questo gioco di veti incrociati, che dura da quando l’Unità è tornata in edicola 18 mesi fa, i lavoratori si sentono presi in ostaggio e chiedono un incontro al segretario del partito Matteo Renzi che da due giorni mantiene un silenzio assoluto. Non si sa se stia cercando una via d’uscita, magari individuando un altro imprenditore in zona Pd, o limitrofa, l’ennesimo. O se proprio non abbia alcuna idea e stia portando il giornale di partito verso una nuova, e forse definitiva, chiusura. «L’Unità – chiedono i redattori – deve continuare ad esistere o deve morire? Pretendiamo di saperlo».

Capitolo a parte merita la fine della fascinazione politica che Renzi sembra avere esercitato sul neo-direttore Sergio Staino che ieri ha diffuso una mail intensa, dai toni appassionati e disillusi. È stata spedita al segretario Pd il 23 dicembre scorso. Una mail che da venti giorni aspetta una risposta. Mai arrivata. Metafora di un silenzio, o forse di un disinteresse imbarazzato, aggravato dalla disfatta del referendum del 4 dicembre. «Dirti che sono profondamente deluso, e in prima fila deluso da te, è dir poco» ha scritto Staino a Renzi in un passaggio chiave della lettera dove tra l’altro ammette di essere stato pronto a «ridurre il personale (che è un sacrificio politico terribile)».«Pensavo – continua Staino – che il giornale ti servisse per ravvivare quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo. Pensavo ti servisse uno strumento per ricucire queste forze, per rimetterle in circolo, per far sì che dalla base ti arrivasse quell’ondata di rinnovamento che caratterizzò la tua prima uscita, quella del rottamatore, e che ti avrebbe aiutato a riporre il partito alla centralità del nostro lavoro politico».

Staino affonda su tutta la linea e parla a Renzi di «difficoltà umane: parlare e trattare con il tesoriere del Pd Bonifazi e con l’Ad Stefanelli, ti assicuro è esperienza che non augurerei a peggior nemico. È naturale che mi venga una gran voglia di togliere il disturbo». Parole che contrassegnano una diversità antropologica, prima ancora che politica. Parole che indicano un’idea di partito, e di giornale, che, con ogni probabilità, non è quella di Renzi.

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