Le bandiere della Palestina e quelle gialle di Fatah ieri mattina hanno attraversato Ramallah per commemorare i dieci anni dalla morte del “padre della patria” Yasser Arafat. Migliaia di palestinesi in strada. Gli avvocati con la toga, gli insegnanti, le organizzazioni delle donne, gli studenti di ogni età ad inneggiare, i boy-scout con i tamburi e tanta gente giunta dai villaggi vicini. Tanti fermi ai lati delle strade hanno seguito e applaudito al loro corteo diretto alla Muqata, dove riposa Arafat. A “controllare” tutto, come aveva fatto per 40 anni, c’era proprio lui, il leader palestinese scomparso, con gli occhiali scuri, in una gigantografia appoggiata sulla facciata di un edificio di Piazza Manara, in pieno centro cittadino. Un’atmosfera tranquilla, in netto contrasto con l’aggravarsi dello scontro tra israeliani e palestinesi. Ieri il leader di Fatah Marwan Barghuti, in carcere in Israele da 12 anni, ha inviato un messaggio per il decennale della morte del “rais Arafat” nel quale invoca la resistenza, anche armata, per mettere fine all’occupazione militare e la cessazione di ogni cooperazione di sicurezza tra l’Autorità nazionale palestinese e Israele. Un tono forte, in linea con l’escalation che sul terreno non conosce soste. Raccontavano ieri a Ramallah che il messaggio di Marwan Barghuti sarebbe girato per tante mani ma alla fine non è arrivato, certo non per caso, sul palco dove il presidente Abu Mazen ha pronunciato il suo discorso commemorativo per il suo popolare predecessore.

 

Abu Mazen l’escalation la vuole sui tavoli della diplomazia, alle Nazioni Unite, non nelle strade. E le forze di sicurezza dell’Anp agiscono in questi giorni nelle città autonome per tenere sotto controllo la situazione e impedire che la rabbia palestinese per le incursioni degli ultranazionali israeliani sulla Spianata della moschea di Al Aqsa e dei coloni nel quartiere di Silwan, possa trasformarsi nella terza Intifada. Gli avvertimenti di Israele sono continui: a pagare per l’inizio di una nuova rivolta sarà prima di tutto l’Anp. Proprio come è avvenuto nei primi due-tre anni della seconda Intifada, cominciata nel 2000, quando Israele presentò all’Anp il conto del mancato “contenimento” della rivolta e della partecipazione ad essa di molti agenti e militari palestinesi. L’Anp, credevano i leader israeliani di quel tempo, era stata creata nel 1994 allo scopo di arrestare gli oppositori e bloccare le rivolte. Arafat invece pensava che l’Anp fosse solo il primo passo sulla strada dell’indipendenza. Si sa come poi sono andate le cose. E dopo venti anni di Anp e di negoziati inutili, si affaccia all’orizzonte qualcosa che qualcuno chiama Intifada, altri solo rabbia.

 

I vertici israeliani invece sono convinti di trovarsi già di fronte a un nuovo “Risveglio” palestinese e nel tentativo di spegnerlo sul nascere stanno usando assieme alla forza militare anche una serie di restrizioni mirare a complicare la vita quotidiana dei palestinesi. Il numero dei posti di blocco in Cisgiordania cresce con il passare dei giorni e con esso le ore di attesa dei palestinesi sottoposti a controlli che non si vedevano da anni. Molte delle zone dove divampano scontri vengono poi chiude con barriere di cemento, per renderle inaccessibili a macchine e autobus. Accade a Gerusalemme – ad esempio ad Abu Tor e a Issawiye – e sempre di più in Cisgiordania. Ieri dopo scontri nei pressi di una scuola, l’esercito ha chiuso per oltre due ore l’unica strada in uscita da Ramallah in direzione sud-est, paralizzando molte centinaia di auto in un ingorgo da delirio. Non mancano però i raid. Ieri in risposta all’uccisione lunedì di una giovane colona israeliana da parte di un abitante di Hebron, unità israeliane hanno effettuato un’incursione nel campo profughi di al Arroub dove, durante scontri con la popolazione, è stato ucciso il 21enne Muhammad Jawwabra. Sempre ieri un lavoratore Nihad Nalowa, 35 anni, di Tulkarem, è stato ucciso da un proiettile sparato da sconosciuti nella città di Zemer, nel “Triangolo arabo” tra Israele e Cisgiordania. Da parte sua il premier israeliano Netanyahu ha dato ordine all’esercito di demolire le abitazioni dei due palestinesi responsabili degli attacchi di due giorni fa in cui sono stati uccisi un soldato, a Tel Aviv, e la giovane colona, nei pressi dell’insediamento di Allon Shvut.

 

In questo clima è avvenuta ieri, proprio nel decennale della morte di Yasser Arafat, garante fintanto che era rimasto in vita dell’unità nazionale palestinese, la nuova rottura tra Abu Mazen e Hamas. Il presidente dell’Anp ha attaccato frontalmente il movimento islamico accusandolo di distruggere l’unità palestinese e di rallentare la ricostruzione di Gaza. Un’accusa basata sugli attentati intimidatori avvenuti nella Striscia la settimana scorsa ai danni di esponenti di Fatah. Lo strappo si è aggravato il giorno successivo quando Hamas ha fatto sapere che non avrebbe garantito la sicurezza delle manifestazioni per il decennale della morte di Arafat previste a Gaza per la prima volta dal 2007. «Hamas – ha detto Abu Mazen – è responsabile dei recenti attacchi a Fatah a Gaza. Perché hanno messo quelle bombe? Questo dimostra che non vogliono l’unità». Quindi ha condannato gli islamisti per il rapimento e uccisione in Cisgiordania di tre ragazzi israeliani lo scorso giugno. «E’ stata una mossa intelligente?», ha chiesto in modo retorico Abu Mazen, spiegando subito dopo che quell’azione avrebbe avuto come conseguenza «la distruzione di Gaza» durante l’offensiva israeliana “Margine Protettivo” della scorsa estate. Hamas ha replicato con rabbia alle accuse, definendo “bugie” e “insulti” le affermazioni del presidente. Gaza e Cisgiordania sono di nuovo lontanissime.