Cosa c’è di veramente indigeribile per la destra salviniana (e dintorni) nella Commissione voluta dalla senatrice a vita Liliana Segre «per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza»?

Al di là delle giustificazioni ufficiali date al voto di astensione in Senato (dove astenersi equivale a votare no) sulla proposta istitutiva – l’accusa alla sinistra di un uso strumentale dell’iniziativa -, ciò che ha spinto Salvini, Meloni e a rimorchio di entrambi persino Forza Italia a questa scelta obiettivamente dirompente è precisamente il titolo della «Commissione Segre», cioè l’idea che antisemitismo, razzismo verso i «neri», istigazione all’odio contro persone e comunità di pelle, lingua, religione diverse da quelle ritenute «italiane», siano manifestazioni con una radice comune: discriminare in base al «sangue» o all’«etnia», negare il concetto unitario di «umanità».

Intanto, per fare chiarezza, è bene specificare che non è vero, come detto da più parti, che anche la destra abbia proposto con autonomi documenti l’istituzione della «Commissione Segre». Nella mozione della Lega (primo firmatario Salvini) e in quella di Fratelli d’Italia (primo firmatario il capogruppo Ciriani) ci si limita a «prendere atto» della nascita del nuovo organismo («qualora dovesse essere istituita una Commissione straordinaria per…»), vincolandone l’azione a premesse che con evidenza ne snaturano il senso originario. Così, per esempio, nella mozione leghista si afferma che in Italia il razzismo non è una «emergenza nazionale» e presenta «numeri estremamente minori rispetto ai grandi Paesi europei»; o ancora che il trend del fenomeno «è sovrapponibile con la grande ondata di sbarchi e il fenomeno di immigrazione incontrollata, che ha coinvolto il nostro Paese dal 2013», e che dunque il modo più sicuro per fronteggiare il problema è «chiudere le frontiere». Come dire «non siamo noi razzisti, sono loro neri: niente più neri, niente più razzismo».

Infine, la mozione della Lega dedica largo spazio a richiamare i casi di persecuzione dei cristiani nel mondo – tema di assoluta rilevanza, ma estraneo a quello del razzismo in Italia – e riconduce i rigurgiti di antisemitismo essenzialmente a una matrice islamica, legata all’odio contro Israele che accomuna anche settori dell’estrema sinistra. Valutazione pure questa legittima e in parte fondata ma qui utilizzata, di nuovo, per stabilire un nesso causale tra immigrazione e razzismo.

La sensazione, leggendo le mozioni della destra «sovranista», è che un loro scopo sia separare il tema dell’antisemitismo, condannato con forza come prodotto prevalente della presenza in Italia di significative comunità islamiche e dunque in fin dei conti come effetto collaterale dell’immigrazione, da quello più generale del razzismo. Tentazione non nuova, che qualche volta lambisce lo stesso mondo ebraico. E obiettivo speculare, io credo, a quello che ha mosso l’iniziativa della senatrice Segre.

Qui si torna al titolo. Antisemitismo e razzismo contro i «neri», gli africani, i non europei – oggi contro gli immigrati -, sono certo fenomeni storicamente e culturalmente distinti. Ma è impossibile combattere con efficacia l’uno strizzando l’occhio all’altro, come fa tutti i giorni la Lega con esternazioni di suoi esponenti più o meno autorevoli incardinate su linguaggi e concetti obiettivamente razzisti: gli immigrati come pericolo sociale, come moltiplicatori di criminosità.

La «Commissione Segre» non nasce per introdurre nuovi reati, o per inasprire le pene per reati già esistenti. Serve a porre all’ordine del giorno del dibattito un tema, a offrire uno strumento di vigilanza e di informazione su fenomeni legati all’oggetto.

Ed è proprio questo che disturba Salvini e Meloni: l’oggetto, la denuncia del fondo comune che unisce tra loro tutte le forme di odio verso qualcuno non per ciò che fa ma per ciò che è. Se ne sentono chiamati in causa, e in questo senso, davvero, forse non hanno tutti i torti.