Senza il “concorso morale” di Silvio Berlusconi, in qualità di leader del Pdl, la famosa telefonata in cui Fassino diceva a Consorte “allora abbiamo una Banca” non sarebbe mai stata pubblicata dal quotidiano di famiglia Il Giornale. E’ questo il senso delle 90 pagine con cui la quarta sezione penale del tribunale di Milano ha motivato la sentenza di condanna a un anno nei confronti del Cavaliere per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio. La reazione dei berluscones è stata rabbiosa. “Non accetteremo mai questi sistemi, reagiremo con forza contro il perpetuarsi dell’uso politico della giustizia volto ad eliminare Silvio Berlusconi”, ha minacciato Daniela Santanché.

 

Questa condanna non è la più grave, non solo per l’entità della pena, ma anche per il merito di questo processo. Ieri per Brunetta, Giovanardi, Biancofiore, Cicchitto, Schifani, Bondi, Gelmini è stato meno difficile del solito prendere posizione contro i giudici milanesi. Tutti hanno fatto notare il paradosso secondo cui l’uomo più intercettato d’Italia è l’unico condannato per un reato di questo tipo. Si condanna chi ha rivelato l’esistenza di quella telefonata – dicono gli uomini del Pdl – quando invece si dovrebbe indagare su ciò che quella telefonata rivela riguardo al tentativo di scalata di Unipol a Bnl. Una vicenda molto imbarazzante per il Pd mai del tutto chiarita.

 

In effetti sono gli stessi giudici a scrivere che quella telefonata “era significativa della capacità della sinistra di fare affari e mettersi a tavolino con i poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica, se non di quel partito (allora si chiamava Ds, ndr), quanto meno del suo elettorato”.

 

Proprio per questo, sostengono i giudici, Berlusconi ascoltò la registrazione e la pubblicò per ottenere un vantaggio politico in vista delle elezioni e danneggiare il suo principale avversario. Cosa che in effetti avvenne dato che, si legge nelle motivazioni, quella telefonata viene ricordata ancora a distanza di anni. Venne studiata anche la data di pubblicazione durante il periodo delle vacanze natalizie quando avrebbe avuto ancora più risonanza in assenza di altre notizie politiche rilevanti. Insomma, un vero e proprio piano per sfruttare al meglio il nastro che fu portato ad Arcore il 24 dicembre 2005 come “regalo di natale” all’allora premier da parte di Roberto Raffaelli, amministratore delegato della società incaricata di effettuare le intercettazioni per conto della Procura.

 

Le testimonianze su ciò che avvenne quella sera sono discordanti e c’è anche chi ha sostenuto che Berlusconi, al momento di ascoltare la registrazione, si fosse assopito. Per il tribunale di Milano questa versione però non è credibile, o meglio non è logica.

 

Per i legali di Berlusconi sarebbero invece le motivazioni del tribunale ad essere prive di logica giuridica. “Il presidente viene condannato per concorso morale – scrivono gli avvocati Ghedini e Longo – e quindi non già per aver posto in essere qualche condotta specifica. Si dimostra ancora una volta la impossibilità di celebrare a Milano i processi a Berlusconi”.

 

Questa condanna non preoccupa il Cav. E’ solo il primo grado di giudizio. Per i suoi fedelissimi sarà molto più difficile difendere nel merito Berlusconi se il 24 giugno venisse condannato a 5 anni per favoreggiamento alla prostituzione minorile e concussione nel processo Ruby come richiesto da Ilda Boccassini. Ma il vero giorno chiave sarà il 19 giugno, quando la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sul legittimo impedimento per il processo sui diritti tv. Se la richiesta di Berlusconi fosse respinta verrebbe confermata la condanna a cinque anni e l’interdizione dai pubblici uffici. In quel caso lo scontro con i magistrati sarà durissimo e Berlusconi potrebbe far valere la sua ipoteca sul governo Letta. Sarebbero guai anche per il Pd. Non a caso ieri nessun democratico ha commentato le motivazioni o ha risposto alle bordate del Pdl contro i magistrati milanesi.