Gli emendamenti siano pochi e ben meditati», «no a quelli senza contenuto, no a quelli ripetitivi, no a quelli di mera testimonianza, sì a quelli che tengono conto della sentenza della corte e della giurisrpudenza dell’unione europea», perché l’impianto della legge Cirinnà «non può essere stravolto». Sono parole attente, scelte con cura, quelle che ha usato Luigi Zanda ieri alla prima riunione dei senatori Pd convocata sull’incandescende vicenda delle unioni civili che dal 28 gennaio approderà nell’aula di Palazzo Madama. Il dialogo fra chi sostiene le stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner) e chi l’affido rafforzato «è stato costruttivo», spiega Giuseppe Lumia, cattolico ma favorevole alla prima opzione. Ed è vero che il confronto è stato civile.

Ma è altrettanto vero che le differenze nel Pd sono profonde, anche se riguardano tutto sommato pochi senatori. I boatos su improbabili moral suasion di provenienza quirinalizia, letti in questi giorni su alcuni giornali, danno la misura delle pressioni in corso. Dai cattolici Emma Fattorini, Maria Rosa Giorgi e Stefano Lepri al laico Vannino Chiti la richiesta è cancellare dagli articoli 2, 3, 4 i riferimenti che – sostengono alcuni – avvicinano le «formazioni sociali specifiche» alla famiglia e al matrimonio, e modificare il nodo dell’adozione del figlio del partner in una coppia che così com’è formulata avallerebbe – sostengono alcuni – la pratica della gravidanza per altri, vietata in Italia ma consentita all’estero. Lepri ha parlato chiaro sostendo l’affido rafforzato di un bambino nato da Gpa: «Resta un bambino strappato alla madre, che avrà sempre nostalgia del grembo in cui è vissuto per nove mesi», «non vogliamo riconoscere la capacità genitoriale ai gay» perché «temiamo l’estensione all’adozione legittimante», e cioè quando l’adottato diviene figlio o figlia a tutti gli effetti giuridici.
Ma il capogruppo Luigi Zanda è altrettanto chiaro: «L’esito dell’aula è imprevedibile, per questo il Pd deve stare molto attento». Esclusa l’ipotesi di dilazioni, «l’Italia è molto in ritardo, questa volta non si può rinviare», nessuna sponda all’ostruzionismo «che produce solo problemi, come arrivare in aula senza relatore». E prudenza, aggiunge il presidente, «anche nelle dichiarazioni pubbliche. Le unioni civili non debbono diventare il problema del Pd. Non formiamo correnti su singole questioni».

Ora che succede? Oggi si riunisce l’assemblea dei deputati Pd, anche loro interessati ad avere una parte nelle eventuali modifiche. Entro giovedì i senatori Pd potranno presentare gli emendamenti. Sul punto del presunto rischio di equiparazione «specifiche formazioni sociali» al matrimonio alcuni emendamenti potrebbero tradurre i richiami in frasi equivalenti da inserire nel testo, per esempio riscrivendo tutti i diritti e i doveri dei due partner. Fin qui sarebbe solo maquillage. Quanto al cruciale articolo 5, sulla carta i numeri sono a favore della stepchild adoption. Tra le ipotesi c’è la limitazione ai bambini già nati prima della formazione dell’unione.
In ogni caso martedì prossimo, il 26 gennaio, prima di andare in aula l’assemblea dei senatori si riunirà di nuovo. Se non si troverà un accordo, si voterà ’la linea’. E l’unica libertà di coscienza che sarà concessa sarà sull’articolo 5.

Anche perché la modalità di voto è cruciale: le insidie del voto segreto, dove verrà chiesto e concesso, sono molte. E per il Pd qualsiasi iniziativa non meditata può trasformarsi in una waterloo. «Lo sgambetto al governo e al Pd su un punto così importante come le unioni civili è possibile», spiega Monica Cirinnà, autrice del testo e regista instancabile del lunghissimo confronto sul testo, «se il voto segreto fosse semplicemente un voto di coscienza legato ai propri valori, questo rischio non ci sarebbe, ma nel voto segreto purtroppo spesso entra in ballo il gioco politico». Il timore è quello dello «sgambetto» dei grillini i cui senatori, a voto segreto, potrebbero far mancare i voti per rovesciare un danno d’immagine su Renzi e i suoi. E così restituire i colpi ricevuti dal Pd sulla vicenda di Quarto. Va detto che l’ipotesi del boicottaggio a 5 stelle ormai è un grande classico del retroscena senatoriale.

In questo caso, poi, è particolarmente improbabile: la lista dei dissenzienti dem diffusa la scorsa settimana dal sito Gay.it, e criticata severamentente dalla stessa Cirinnà, ha avuto il pregio di fissare più chiaramente la quota del dissenso Pd in senato a una ventina di voti. Se dovessero mancarne altri, sarebbe chiara la responsabilità dei 5 stelle (sul tema dei diritti l’affidabilità di Sel non viene messa in discussione). La trappola finirebbe nel ritorcersu contro i suoi autori.

Intanto dal Pd si moltiplicano gli appelli ad un’intesa dentro il gruppo: «Si deve cercare di costruire una convergenza più ampia possibile», ha detto ieri il vice segretario Pd Lorenzo Guerini a Porta a Porta. Saranno pochi i dem presenti al Family Day del 30 gennaio (per ora solo Giuseppe Fioroni ha annunciato che ci andrà), ma certo il tentativo di innesco di una crociata laici-cattolici non era quello serviva al Pd, e al governo. Né le parole su Oggi del laicissimo ex ministro Veronesi a proposito della gravidanza per altri: «Può essere un’occasione per le donne non abbienti per migliorare il proprio tenore di vita, per aiutare i figli a pagarsi gli studi». Sincere. Ma anche perfette per dare una mano a alla piazza benedetta dal cardinal Bagnasco.