Dopo 33 anni di sdegnato e apparente isolamento politico, il Marocco torna a far parte dell’Unione africana. Lo fa senza porre condizioni, rinunciando cioè a chiedere “in cambio” l’espulsione della Repubblica democratica araba dei Saharawi (Rasd) come aveva preteso finora, inutilmente.

Sembrerebbe un esito win-win, ancorché provvisorio, considerata la relativa tranquillità ostentata dai leader del Fronte Polisario, che vedono in questa riammissione non una minaccia ma una cornice istituzionale in più per far valere le proprie ragioni. Con la richiesta di referendum per l’autodeterminazione che anche Europa e Nazioni unite reputano più che ragionevole e Rabat invece si ostina a negare, si cercherà di mettere l’occupante con le spalle al muro anche e soprattutto nel nuovo contesto. Nel 1984 il Marocco sbattè la porta dopo la decisione dell’Unione di riconoscere l’indipendenza saharawi. Oggi la questione dell’ex Sahara occidentale resta come sospesa, ma resta. Da affrontarsi una volta esauriti i sorrisi e l’oratoria di circostanza.

Re Mohammed VI, che nell’ultimo anno si è speso parecchio per tornare nella «grande famiglia», ieri era a Addis Abeba in modalità discorso storico. Emozionandosi davanti al 28° Summit dei paesi membri, che la capitale etiopica ha ospitato il 30 e 31 gennaio, non ha nascosto la sua soddisfazione: «È bello tornare a casa dopo tutto questo tempo, mi siete mancati tutti» ha detto, prima di elogiare l’ascesa di «una nuova generazione di dirigenti africani senza complessi» e auspicare che d’ora in poi «le ricchezze africane siano messe a profitto in Africa». Con un richiamo anche al tema della «sicurezza alimentare», sulla scia della recente Cop 22 di Marrakesh.

La sostanza è che l’Unione africana ha un disperato bisogno di liquidi dopo la rovinosa uscita di scena di Gheddafi, che dell’Ua è stato un munifico sostenitore. Avere dentro la sesta economia del continente comporta innegabili vantaggi. Allo stesso tempo il Marocco ha la necessità di intensificare gli scambi con i sempre più emergenti mercati sub-sahariani, anche in relazione all’attivismo di una Francia muscolare sul medesimo scenario.

Il regno di Mohammed VI ha avuto l’appoggio di 39 paesi su 54. Voti contrari 9, a cominciare da quello dell’Algeria che ospita i campi profughi saharawi. Un ruolo chiave nella regia dell’operazione lo ha sicuramente svolto il presidente della Guinea Alpha Condé, alleato storico di Rabat, eletto nel corso della stessa sessione alla presidenza di turno dell’Unione africana.

 

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Nkosazana Dlamini-Zuma

 

 

 

 

Polemiche invece intorno all’avvicendamento della sudafricana Nkosazana Dlamini-Zuma (che ora avrà forse mano libera per tentare la scalata all’Anc in vista del tramonto dell’ex marito) alla guida della Commissione dell’Unione africana. La ministra degli Esteri del Kenya, Amina Mohammed, sembrava favorita, ma alla fine è passato il suo omologo del Ciad, Mousa Faki Mahamat, più funzionale alle dottrine della «sicurezza» e della «guerra al terrore».