L’urgenza periodica di restaurare le Mura Aureliane, al Comune di Roma, chiunque la percepisce: un crollo significherebbe danni evidenti. Trovare i fondi per il Mausoleo di Augusto è invece eternamente complicato: se ne sta tranquillo, sommerso nel subconscio cittadino, tanto al centro quanto appartato. Spoliato e trasformato, ma stabile nella sua alienata rovina. Restano tre anelli concentrici: lo scheletro. L’anima bisogna recuperarla. «Dente cariato», lo aveva definito Antonio Muñoz. Eppure al suo interno riposavano i resti cremati di Augusto, il cadavere imbalsamato di Poppea, l’urna con le ceneri di Nerva.
L’area è sensibile, per il tentativo di appropriazione ideologica del fascismo, con Mussolini che avrebbe voluto esservi seppellito, e per il rilievo urbanistico di piazza Augusto Imperatore, che ospita tra l’altro il cantiere dell’Hotel Bulgari negli ex palazzi Inps acquisiti dai Benetton. Il monumento, gestito dalla Sovrintendenza Capitolina, ha riaperto al pubblico dopo quattordici anni, registrando il tutto esaurito fino all’estate.
Abbiamo parlato della sua storia e del suo futuro con l’archeologa Paola Virgili che, insieme all’architetto Alberto Mancini, ha pubblicato in un agile volume i risultati degli scavi nel sito: Il Mausoleo di Augusto. La Ricostruzione (Edizioni Megabite, pp. 48, euro 10).

Quali lavori hanno reso possibili le conclusioni presentate?
Le mie ricerche al Mausoleo sono iniziate nel 1981, con la guida di Antonio Maria Colini, colui il quale nel 1926 si era calato in un mondo dimenticato attraverso una botola del pavimento dell’auditorium che all’epoca lo sovrastava. Lo stesso studioso che avrebbe riscavato nel 1934-1938, quando fu realizzato il progetto di Vittorio Ballio Morpurgo che coinvolse l’intera piazza, provvedendo ai restauri ancora visibili. Ho scavato di nuovo nel 1997, con Edmund Buchner, e soprattutto tra il 2007 e il 2010: la ricostruzione si basa su quanto rivenuto allora e sulle indagini effettuate al Pantheon, nel 1995. La messa in posa di una polifora al di sotto del livello stradale ci offrì l’occasione per studiare il Pantheon augusteo, scoprendo che aveva la medesima planimetria di quello di Adriano: si pensava fosse costituito da tre celle rettilinee rivolte nella direzione opposta, invece guardava verso il Mausoleo. Il diametro di quarantuno metri coincide inoltre con quello del terzo muro del sepolcro imperiale, oltre il quale era accolta la cella con le urne.

Esistono altre corrispondenze tra le due costruzioni?
Sono strettamente collegate. Distano mezzo miglio romano: 739 metri. Lungo il percorso, predisposto tra il 29 e il 9 a. C., furono edificati anche l’Ara Pacis e la Meridiana. Ne risultò una direttrice sacra: non ospitava alcuna struttura di uso privato, poggiava direttamente sugli strati di limo deposti dal Tevere. L’oculus aperto sul Pantheon misurava nove metri, come la cupola del Mausoleo. I raggi del sole penetravano al suo interno circa quindici minuti prima del mezzogiorno solare, perché l’edificio è orientato di quattro gradi verso ovest. Da qui Augusto, percorrendo mezzo miglio, aveva sedici minuti di tempo per raggiungere il Mausoleo, orientato sull’asse nord-sud, e vedere il sole entrare nella sua tomba.

Difficile immaginare uno storytelling meno adatto al pragmatismo dei romani…
La straordinaria novità è l’imporsi di un simbolismo derivato dalle conquiste: i suoi artefici non possono che essere gli architetti egizi e greci portati a Roma dopo la vittoria su Antonio e Cleopatra. La città di mattoni, come Augusto scrisse nelle Res gestae, si trasformò in una capitale di marmo. I monumenti voluti dal princeps ne divennero il fulcro: l’età dell’oro fu annunciata con l’edilizia. Che stesse avvenendo un cambiamento epocale lo capì anche Vitruvio, secondo il quale un architetto augusteo doveva necessariamente tenere nella massima considerazione l’astrologia. E in Oriente, in architettura, il sole la faceva da padrone.

Ma qui ci troviamo nel cuore del classicismo. Una tale sovrabbondanza di mistica non sarebbe apparsa fuori luogo?
Sicuramente, se a Roma non si fosse calata nella concretezza del linguaggio del potere. Nel 27 a. C. Augusto chiese al Senato di essere appellato Romulus, in seguito alle recenti conquiste. I senatori però lo dissuasero, perché quello era il nome di un monarca e il popolo, che viveva di allegorie, avrebbe frainteso. Lo chiamarono quindi Augustus, perché il primo re era «il più augusto degli auguri». Queste erano le filosofie del tempo. Abbiamo ormai perso la capacità di pensare la realtà per simboli, ma due millenni fa la gente non leggeva e ai sudditi si parlava per immagini. Il Mausoleo era alto tre metri meno della collina del Pincio: lo vedevano i naviganti, dal Tevere.

L’idea di Augusto morì con lui?
Considerando che Adriano ricostruì il Pantheon senza modificarne la pianta, direi di no. Pur togliendo due colonne sulla fronte e abbassando il podio, si impegnò per riportarlo in quota con il Mausoleo, realizzando fogne davanti a entrambi i monumenti e livellando le pavimentazioni esterne. Abbiamo inoltre scoperto che il Pantheon di Adriano fu concepito sulla piazza antistante il sepolcro di Augusto. I blocchi di marmo non potevano arrivare da Sud, a causa della densa urbanizzazione: fu utilizzato l’approdo nei pressi del Mausoleo. Lì gli scalpellini lavorarono i materiali e lì l’architetto incise in scala sul pavimento gli elementi costituenti il frontone del Pantheon.

La perdita del rapporto di Roma con il fiume sembra fondamentale per capire il senso dell’urbanistica augustea.
Lo è anche dal punto di vista fisico. Il Mausoleo e il Teatro di Marcello sono accanto al Tevere e furono innalzati su una zattera, come Ponte Milvio. Respirando hanno resistito agli anni, adeguandosi al regime delle acque. Non a caso, quando nel 1777 Azzurri tolse le sponde di legno per sostituirle con mattoni, irrigidendo le strutture, Ponte Milvio si ruppe.
Prima della riconciliazione con il Tevere, è però necessario il recupero di una sana relazione con Roma. Il progetto Urbs et Civitas, con capofila Francesco Cellini, vincitore del concorso bandito dal Comune nel 2006, prevede che il Mausoleo si riaccordi con il livello della città moderna: un imponente invaso scenderà così verso la piazza antica, attraverso due scalinate, dalle chiese di San Rocco e San Carlo.

Quanto dovremo aspettare?
La società coinvolta nei lavori, di cui sono direttrice tecnica per l’archeologia, ha in cantiere il primo dei due appalti di scavo e sistemazione dell’area, che durerà oltre venti mesi; il secondo – per le finiture – richiederà un altro anno e mezzo. Contemporaneamente è auspicabile che siano elaborati sistemazione e restauro del Mausoleo, eseguendo ulteriori indagini archeologiche in modo da salvaguardare ogni traccia utile per la corretta comprensione della sua architettura.
Nel programma Ulisse del 21 aprile scorso è stata offerta a tre milioni di telespettatori una presunta ricostruzione: mi chiedo se fosse stata oggetto di una qualche verifica scientifica. È stata mostrata una scaletta d’accesso alla tomba imperiale larga poco più di un metro, ma si trattava – lo documentiamo nel libro – di una scala in marmo con un diametro di ben nove metri.