Come anticipato nei giorni scorsi da Bloomberg, l’ipotesi di 10mila uscite da Unicredit, che si era affacciata alla fine dell’estate, è risultata riduttiva rispetto a una realtà che parla, nel nuovo piano industriale 2015-18, di una riduzione del personale di circa 18.200 unità a tempo pieno nel gruppo bancario. Anche comprendendo la vendita della controllata in Ucraina, e la joint venture di Pioneer con Santander Am (6mila esuberi), il numero è altissimo. E si farà sentire soprattutto in Germania, Austria e Italia, dove Unicredit taglia 6.900 posti di lavoro, di cui 5.800 nella banca commerciale e 1.100 nel corporate.

Una parte di questi dovrebbero essere ricompresi nel piano che, a marzo 2014, Unicredit aveva concordato con i sindacati di categoria. Lì si parlava di 5.100 esuberi al 2018, di cui più della metà sono ancora da mettere in pratica, con il ricorso massiccio ai prepensionamenti. Inoltre i vertici della banca puntualizzano che nel numero di 6.900 uscite sono da ricomprendere non solo gli accordi del 2014, ma anche i dipendenti di società basate in Italia ma operanti in altri paesi. Per certo dai 129mila addetti del 2014 Unicredit vuole arrivare a un totale di 111mila dipendenti nel 2018, tagliando più di 1.700 filiali fra Italia, Germania e Austria.

Di fronte alle proteste sindacali, l’ad Federico Ghizzoni replica: «I sindacati hanno letto male il piano, ci sono investimenti, è un piano di crescita e di ricavi. Certo, se si vuole mettere la testa sotto la sabbia e non vedere che il mondo sta cambiando, non si trova l’accordo. Comunque ci metteremo a ragionare e una soluzione si troverà, con calma e senso costruttivo».

Non sarà un’impresa facile, almeno a giudicare dalla risposta sindacale di Massimo Masi della Uilca: «Il piano industriale è ancora peggiore di quello annunciato alcuni mesi fa: 18.200 lavoratori usciranno dalle banche del gruppo, con un taglio lineare del 9%. Oltre alle banche controllate straniere, anche il perimetro italiano pagherà un prezzo salatissimo, fra esuberi e chiusura di filiali».

A seguire un’altra osservazione critica: «Ci chiediamo fino a quando continuerà questa folle corsa al taglio del personale. Con le uscite anticipate saranno i soggetti più deboli, cioè quelli con la contribuzione previdenziale mista, che pagheranno i prezzi più alti. Una cosa comunque deve essere chiara: non accetteremo esuberi obbligatori ma solo volontari, e non accetteremo mai un accordo che non dovesse prevedere assunzioni di giovani». Anche Lando Sileoni della Fabi lancia una critica: «Si vuole spostare l’attenzione mediatica sul nuovo piano industriale, e distoglierla dai problemi legati alla governance del gruppo».
L’obiettivo di risparmio di costi del nuovo piano di Unicredit è di 1,6 miliardi. Il piano al 2018 prevede anche la cessione o ristrutturazione del retail banking in Austria e della divisione leasing in Italia.