Dal letame nascono i fiori, sembra dire Alberto Perino, leader storico e figura carismatica del movimento No-Tav. La manifestazione di Piazza del Popolo? «Doveva essere fatta prima». E «anche noi dovremmo scendere in piazza con loro». È «piacevolmente sorpreso» dalle proteste “selvagge” e a macchia di leopardo del franchising «Coordinamento 9 dicembre»: «Non credevo che ci fosse ancora qualcuno col coraggio di spegnere la televisione e di portare il proprio malessere in strada: è un inizio ma è importante». Ma attenzione: «Non chiamatelo movimento –puntualizza Perino –al momento sono solo tante individualità eterogenee, e come tali egoiste perché partono da bisogni personali. Per questo però vale la pena unirsi a loro e dialogare». Loro chi: Calvani o Ferro? «Questo coordinamento mi pare autoreferenziale, non ha alcun contatto reale con la piazza. Ma d’altra parte quando hai una popolazione così composita e arrabbiata non puoi fare il masaniello che unisce tutti».

Perino, secondo lei quanto popolo No-Tav si unirà alla protesta del Coordinamento 9 dicembre?

Non so, però io stesso in un nostro recente convegno ho detto che dovremmo scendere in piazza insieme a questa gente, così eterogenea, così disorganizzata e perciò molto genuina. Perché se li lasciamo in mano alla destra facciamo la fine della Grecia con Alba Dorata.

Ovviamente, quando c’è rabbia c’è egoismo, e i ragionamenti sono molto elementari. E anche folli, come quello di un governo di transizione tenuto da militari.

D’altra parte anche noi quando cominciammo la protesta all’inizio degli anni ’90 facevamo discorsi tipicamente Nimby, quelli che la gente capisce di più. Ma oggi, a forza di parlare e confrontarci nelle piazze, siamo arrivati tutti insieme alla critica del modello di sviluppo insostenibile. E dal 16 novembre scorso in Val Susa la parola d’ordine non è più solo No Tav ma anche No allo spreco di risorse. E allora io credo che dobbiamo scendere in piazza con questa gente e parlare con loro di cose concrete, quelle che tutti capiscono. Col tempo, poi, si arriverà a discutere non solo della politica finanziaria imposta dalla Troika e dall’Europa dei banchieri, ma anche dello spreco di risorse rappresentato dagli F35, dalle missioni all’estero o dalle grandi opere, inutili e imposte, che sono il bancomat dei partiti.

In questo caso si tratta però di un malessere generalizzato non solo in Italia ma in tutta Europa, difficilmente compatibile con il modello valsusino. Non crede che invece proprio un contesto come questo può agevolare l’ascesa delle destre, come succede in Francia e nel resto del continente?

È chiaro che è difficile gestire una cosa così, ma non per questo bisogna rinunciarci. D’altronde in Bretagna abbiamo visto la protesta dei “baschi rossi” che non erano mica un movimento di destra eppure hanno fatto delle cose tremende, di una violenza inaudita: altro che barricate! E in Belgio i pompieri si sono scontrati duramente con la polizia. Voglio dire che la sinistra faccia attenzione a non regalare alle destre tutto ciò che non passa per le organizzazioni politiche o sindacali.

Cosa pensa di questi leader del Coordinamento 9 dicembre, già così litigiosi tra loro?

Questi movimenti confluiti nel Coordinamento mi sembrano autoreferenziali: non hanno alcun contatto vero con la gente. Certo, i coordinatori hanno avuto la buona idea della mobilitazione, hanno spinto le persone a spegnere le televisioni e a scendere in piazza. E di questo dobbiamo essere contenti. Ma quando li ho visti e sentiti a Torino, in piazza Castello, ho capito che non hanno una vera presa sulla gente, usano un linguaggio che non arriva a tutti. D’altronde quando hai persone così eterogenee non puoi fare il capopopolo che cerca di convincere tutti. E infatti dopo giorni di protesta non hanno ancora visto alcun risultato. Le manifestazioni di questi giorni a Roma dovevano farle prima.