Nel centro di accoglienza di Röszke, nel sud dell’Ungheria, la polizia ha reagito con i lacrimogeni alle proteste di un gruppo di duecento rifugiati che volevano parlare con un giornalista della televisione pubblica. Volevano denunciare che l’ufficio immigrazione sta prendendo le impronte digitali per registrare i richiedenti asilo. L’episodio dimostra la difficoltà del momento; il primo ministro Viktor Orbán ha riunito il consiglio di sicurezza nazionale. Al termine della riunione è stato deciso l’invio di un corpo speciale costituito da oltre duemila uomini per sorvegliare il confine nazionale e impedire l’ingresso dei profughi.
Alla stampa il capo della polizia Károly Papp ha detto che gli uomini del corpo speciale non riceveranno l’ordine di fare fuoco mentre Zoltán Kovács, portavoce del governo, ha riferito che l’esecutivo sta valutando la possibilità di far intervenire l’esercito.
Röszke si trova nei pressi del confine ungaro-serbo, quello che il governo ha deciso di blindare con una barriera metallica e di filo spinato lunga 175 chilometri. La prima fase dei lavori dovrebbe aver termine entro la settimana prossima, secondo le informazioni attualmente a disposizione, ma ve ne sarà almeno un’altra con la quale irrobustire la struttura e farle raggiungere l’altezza di quattro metri.
La situazione è delicata e tesa, il fenomeno ha assunto proporzioni più che rilevanti: le stime diffuse ultimamente parlano di oltre 80mila immigrati giunti in Ungheria dall’inizio dell’anno, una cifra che supera di circa il doppio quella registrata nel 2014. Il flusso di arrivi è continuo e non accenna a diminuire.
Il governo enfatizza l’emergenza e descrive una situazione sempre più difficile da sostenere. Situazione che ha portato le autorità magiare a intervenire con mezzi drastici non potendo aspettare le soluzioni dell’Unione europea, soluzioni che secondo l’esecutivo di Budapest sono inesistenti. Già diversi mesi fa Orbán aveva parlato di fallimento delle politiche europee nel campo dell’immigrazione e affermato che ogni paese ha il diritto di organizzarsi autonomamente a seconda delle sue esigenze specifiche per gestire l’emergenza.
All’interno della società ungherese si è diffusa una certa inquietudine a fronte del fenomeno, questo stato d’animo è accentuato dalla propaganda del governo che da tempo segue una politica fatta di ammiccamenti all’estrema destra per cercare di riconquistare i consensi perduti a favore del partito ultranazionalista Jobbik. Quest’ultimo ha intrapreso un’operazione di facciata e ripulito il suo linguaggio per ampliare il consenso col risultato che diversi ungheresi non lo vedono più come un partito estremista. La sua popolarità è aumentata anche fra gli studenti universitari, fra giovani che vi vedono l’unica forza in grado di rinnovare il paese.
Jobbik mette in primo piano il problema della sicurezza pubblica al quale concorrerebbe il flusso costante di immigrati che raggiunge l’Ungheria. Ma le forze governative non sono da meno e mesi fa Orbán aveva dichiarato di considerare negativo il fenomeno dell’immigrazione da tutti i punti di vista, tra i quali quello della sicurezza pubblica, considerando l’immigrazione un potenziale veicolo di terrorismo.
L’opposizione di centro-sinistra critica pesantemente la politica che l’esecutivo porta avanti in questo ambito, considerandola vergognosa e tale da isolare il paese e allontanarlo dall’Europa. Le fanno eco gli ambienti progressisti della società civile che mesi fa si sono mobilitati con iniziative concrete di sabotaggio contro i cartelloni apparsi nelle città del paese e recanti messaggi (scritti in ungherese) del tipo «Se vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi», un lugubre benvenuto agli immigrati.
Ora si parla di militarizzazione del confine ungaro-serbo che a causa della barriera protettiva è diventato più difficile da valicare ma non impossibile. Non sono pochi, infatti, i disperati che riescono a superarla e la polizia locale ha riferito di aver riscontrato ieri la presenza a ridosso del valico di confine di circa 2.500 migranti illegali.
L’episodio di Röszke ha un precedente nei disordini avvenuti all’inizio dell’estate al campo profughi situato presso Debrecen (Ungheria dell’Est) e provocati, secondo fonti locali, da un centinaio di immigrati illegali con successivo intervento delle forze dell’ordine e impiego di gas lacrimogeni. Il campo è stato concepito per ospitare circa ottocento rifugiati, attualmente all’interno ce ne sarebbero rinchiusi circa il doppio.