Nell’agosto del 1966 Ungaretti torna in Brasile per un giro di incontri culturali e per visitare a San Paolo la tomba del figlio Antonietto, morto a soli nove anni nel 1939. A fine agosto, dopo una conferenza, si avvicina al poeta settantottenne Bruna Bianco, un’italo-brasiliana di ventisei anni: scrive poesie e, come càpita, chiede a Ungaretti di leggerle. Nasceranno un sodalizio letterario pieno di consigli e un turbinoso rapimento affettivo: l’uno e l’altro ora ripercorribili grazie alla pubblicazione delle lettere di Ungaretti alla corrispondente raccolte sotto il titolo Lettere a Bruna (a cura di Silvio Ramat, «Oscar Baobab» Mondadori, pp. L-657, € 21,00).
Gli epistolari – scritture in via di estinzione, e di ciò ci si rammarica – sono stati fondamentali per la ricostruzione di aspetti non marginali di vicende che hanno potuto talvolta prendere diversa intonazione e coloritura. Ma anche per il passato occorre stare all’erta nel valutarne la portata, perché soprattutto nel caso degli epistolari amorosi possono accendersi talvolta punte euforiche per le quali manca la prova capace di inverarne la portata; in più, il lettore è talvolta spinto ad accusare se stesso di una qualche forma di impudicizia, come affacciandosi a spiare dove non sarebbe lecito.
Nel caso presente la distanza dagli avvenimenti è tale che l’auto-sospetto può essere almeno sospeso. Sono circa quattrocento lettere, vanno dal settembre 1966 all’aprile del 1969 e ci dicono innanzitutto che il leggendario temperamento di Ungaretti non era propriamente una leggenda: l’energia riversata in questo epistolario dà conto – sia consentito servirsi di una formula ovvia ma veritiera – di un’inesausta passione per la vita in tutte le sue forme. Sono lettere d’amore, ma parlando d’amore il vecchio poeta coinvolge tutto se stesso: atteggiamento tanto più rimarchevole in quanto è all’ultimo scorcio del suo passaggio sulla terra (per la cronaca proprio nel 1969 esce il primo volume di una collezione destinata a diventare celebre, i «Meridiani», inaugurata proprio da Vita di un uomo, la raccolta delle poesie complete di Ungaretti, che se ne andrà a metà del 1970). Dunque queste lettere, oltre ad essere la testimonianza della passione per Bruna, delineano alcuni tratti dell’ultimo scorcio biografico del poeta.
Ungaretti non ha alcuna reticenza nel dichiararsi a ogni momento preso senza scampo nella passione per la giovane Bruna, anche se, come osserva Ramat, è sfiorato dal dubbio che la disparità anagrafica debba indurre a interrogarsi: è come se «avesse urgenza di recitare di continuo anche per sé, primo lettore di ciò che scrive, la parte più sincera, quella di chi comprende che alla sua età è una “demenza” (parola chiave che rimbalza di lettera in lettera) l’innamorarsi di una donna così giovane e il volerla vincolare al proprio destino»: questo recitare per sé è forse un disperato tentativo di stare attaccato alla vita (come diceva un suo antico verso) nel momento in cui la sente congedarsi.
Forse ha anche questo senso la rassegna di squarci di città visitate durante il rapporto epistolare con Bruna: un aggrapparsi alla terra guardando ancora una volta il barocco di Roma e l’incanto di Venezia. Però, a proposito di quanto Ungaretti scrive su Urbino, Ramat osserva «che Bruna un po’ si annoia (…) esige che Ungà le parli d’amore» e lui lo fa, sottolineando di farlo (22 novembre 1966, da Parigi); tuttavia sapere come Bruna chiedesse ciò è quanto manca all’epistolario; non conosciamo che le parole di Ungaretti: non è poco, ma non sappiamo a che cosa rispondesse la reiterazione dei «ti amo», di che cosa fosse complemento o aggiunta. Se fosse infine davvero l’unica richiesta di Bruna e un assecondare da parte del poeta.
Non secondari gli elementi che contribuiscono a ripercorrere altre passioni ungarettiane: la musica, la pittura, il rapporto con i poeti, a cominciare dal convegno di poesia organizzato da Ted Hughes che vede Ungaretti per la prima volta a Londra. È durante questo convegno che Ginsberg legge una traduzione di Gridasti: Soffoco, la straziante poesia sulla fine di Antonietto. La giornata è un trionfo per Ungaretti: «Non finivano più di applaudire, di gridare bravo (…) La gente mi applaudiva in piedi», continuando con ovazioni mentre lo accompagna alla macchina: «Incredibile» (18 luglio 1967). Ma anche in questo caso, il racconto è come di passaggio tra l’una e l’altra dichiarazione di amore perenne: come sia finito, le carte non lo dicono. Nella melanconica nota finale apposta dal curatore si legge che tra fine del 1969 e inizio del 1970, Bruna telefona a Ungaretti per sapere «come mai non risponda più alle sue lettere; lui le domanda a quali lettere si riferisca», poi le chiede di incontrarsi negli Stati Uniti. Però non si videro più.