La stagione estiva dell’Accademia Filarmonica Romana è stata quest’anno una miscela di ottimi o interessanti momenti musicali, desolanti vuoti di pubblico alternati a pienoni un po’ gonfiati dagli sponsor, povertà organizzative esagerate pur in tempo di crisi (il ristorantino all’aperto nel delizioso Giardino offriva un rancio militare). Ma abbiamo seguito solo tre serate, non facciamo bilanci. Il momento musicale più convincente, con gli esiti più importanti, è stato quello col quartetto di sassofoni Saxatile. Si tratta di un gruppo romano di recente costituzione guidato da Enzo Filippetti (sax alto e tenore). Sono suoi allievi, bravissimi, Mattia Catarinozzi (soprano), Maurizio Schiffitto (tenore), Davide Lucente (baritono).

 
I quattro di Saxatile hanno iniziato con l’Alvin Curran di Electric Rags II, scritto originariamente per il Rova Saxophone Quartet. C’è dentro il soffio del post-free? Certo, un po’, ma anche di tanta «contemporanea» non disciplinare. E anche delle seduzioni e dei giochi jazzy (persino Broadway, se vogliamo). E poi ci sono i sardonici umoristici spezzoni di parlato che arrivano dal nastro e che firmano il pezzo col nome di Curran in modo inconfondibile. Fascino, perdizioni, grande delicatezza timbrica e ideativa in Illusion Réelle di Leilei Tian, compositora cinese quarantaquattrenne. Per sax tenore (Filippetti) ed elettronica. Atmosfera sognante, un idioma davvero singolare con i suoni sintetici che intervallano quelli acustici dello strumento e trapela qualcosa di Roscoe Mitchell qualcosa di Salvatore Sciarrino in un procedere per gentili «illuminazioni» successive. Stupore, lirismo sottotraccia, caos suggestivo.

 
Che dire di Four 5 di John Cage? Quando si tocca l’indicibile. Gesualdo, Haydn, Schumann, non sappiano dire altro che questo è stato un grande maestro come loro. Sublime? E va bene, adoperiamo anche questo termine assurdo, almeno per noi cultori della terrestrità (come Cage, d’altronde). Fatto di niente, di suoni lunghi quasi sempre in pianissimo che disegnano una tenue polifonia in un clima di meditazione e di mestizia, come è per molti dei Number Pieces degli ultimi anni del compositore. E strepitoso è anche Propaganda di Franck Bedrossian, un esponene geniale della corrente detta della «saturation». Suoni soffiati si alternato e sommano a suoni materici in un rito concitato, nel dialogo tra i quattro sax (splendido l’equilibrio espressivo dei Saxatile) e un nastro davvero magnetico, nel senso che è dotato di magnetismo per l’ascolto, per il piacere, per il coinvolgimento.

 
La stessa sera hanno funzionato i quattro brani per percussioni ben amplificate e spazializzate dagli olofoni di Michelangelo Lupone, compositore e scienziato dei suoni sempre presente nell’estate della Filarmonica. Gianluca Ruggeri ha coordinato un gruppo di suoi studenti in una elaborata sottile morbida Voliera di Tommaso Cancellieri (dove Ruggeri era solo con zarb ed elettronica), in un magnifico pensosamente tribale Il risveglio della terra di Laura Bianchini, in un danzante e prezioso Wind trace dell’ottantaquattrenne giapponese Toshi Ichiyanagi, in un gioiellino del moderatismo contemporaneo come Raintree di Toru Takemitsu.

 
Delusione, purtroppo, la sera dell’8 luglio per la performance di un quintetto che si presentava all’insegna dell’improvvisazione o della composizione istantanea (e anche scritta, per la verità). Eppure a guidare il gruppo c’era uno dei massimi esponenti al mondo di questa modalità musicale, vale a dire Giancarlo Schiaffini, col suo trombone e la sua tuba. Tra i partner è probabile che il solo Walter Prati al violoncello elettrico fosse all’altezza della situazione.

 

 

Per l’esecuzione di Canzon «La volupiense» dello stesso Schiaffini, un complesso riflessivo gioco di domande e risposte tra tuba e live electronics, ci si è messo anche l’apparato elettronico a incepparsi, fino a quando il grande solista si è un po’ smontato. Discutibile la versione di una parte del celebre brano di «musica intuitiva» Aus den sieben Tagen di Karlheinz Stockhausen.

 

 

Vacuo il brano di sola elettronica di Giuseppe Giuliano. Ben fatto, ben suonato (soprattutto da Schiaffini) e accorto nel giostrare tra i clichè dell’avant-garde e degli effetti elettronici Quintette (incorporel) di Raffale Grimaldi, in prima assoluta.

 
Gran successo di pubblico il 9 luglio per il Quartetto d’archi Prometeo. Programma davvero insolito (è anche in un cd Sony appena uscito). Trascrizioni o elaborazioni di musiche antiche realizzate da compositori d’oggi. Stefano Scodanibbio alle prese con Monteverdi, Ivan Fedele con Gesualdo, Stefano Gervasoni con Frescobaldi, Giorgio Battistelli con Stradella, Salvatore Sciarrino con Scarlatti, Francesco Filidei con Giovanni Maria Trabaci e Tarquinio Merula. Sciarrino e Filidei hanno trascritto, l’uno con mano magica pressoché ineguagliabile, l’altro con l’arguzia destabilizzante che gli si conosce. Gli altri hanno elaborato lavori nuovi, più aderenti ai testi antichi come Scodanibbio e Fedele (ma giustamente «traditori» dei testi), completamente lontani come il pacato Battisteli, quasi un corale moderno, e il sovversivo, felice, Gervasoni.