Berlinale un anno dopo. Nel 2020 è stato l’ultimo festival prima del lockdown mondiale, l’ultimo nel «mondo di prima» quando il virus «misterioso» a Wuhan non era ancora una pandemia, al più bastava lavarsi le mani e aprire un poco le finestre per non sentirsi minacciati. Consegnati i premi, l’Orso d’oro e d’ argento, tutto era già cambiato. L’edizione 2021, la numero 71, sarà invece online, una pratica iniziata ben presto l’anno passato, a cui i festival per sopravvivere sono stati costretti a adattarsi, mentre le sale chiudevano e continuano in molti paesi a essere chiuse, Hollywood sta collassando costretta a riposizionare l’intera produzione di due stagioni, le grandi piattaforme Netflix in testa assumono sempre più controllo, primariamente produttivo, dell’immaginario. Cosa vuol dire dunque oggi mettere in moto una grossa macchina festivaliera come la Berlinale che con il suo EFM, il mercato del film europeo, è divenuta un riferimento primario per l’economia cinematografica nel mondo? La scelta dello streaming per l’edizione che inizia il primo marzo – fino al 5 – era del resto obbligata visto il lockdown imposto alla Germania dalla cancelliera Merkel fino al 7 marzo, e gli organizzatori così come i registi sperano di poter realizzare la seconda parte prevista in giugno (9-20) per il pubblico della città. Questi giorni saranno invece riservati unicamente ai professionisti: stampa, compratori, programmatori di festival, chi insomma frequenta i mercati, lasciando fuori il pubblico.

«Almeno così i film esistono, si vedono, se ne parla» dicono i registi. Giusto. Se pensiamo poi a quanto ha fatto il festival di Cannes che, cancellato l’anno scorso dall’emergenza sanitaria, ha «labelizzato» la sua selezione; è servito a qualcosa? Qualcuno di quei titoli ha trovato un mercato? Alcuni sono passati in altri festival ma chi aspetta la sala è rimasto fermo, e altri hanno optato per le piattaforme. Certo però anche per chi dei film deve parlare diventa difficile trovare una forma, non c’è nemmeno il confronto dal vivo col pubblico locale, e soprattutto manca la «promessa» di dire se quello o quell’altro film si vedrà, dove, quando, come, quasi che fossimo in un mondo parallelo staccato dalla realtà, in cui a distanza si incontrano persone di tanti paesi, proprio come accade durante un festival, senza sapere nulla però di cosa gli altri pensano, di cosa guardano.
Non poteva essere diverso, è vero. Ma questa situazione che non riguarda soltanto la Berlinale, forse impone di riposizionarsi con qualche cambiamento: di regole, le «anteprime» ad esempio, di circuitazione, del modo in cui si lavora su questi eventi, in cui si parla dei film per condividerli e dare il desiderio di guardarli. Alla fine sono loro che contano, che si giocano tutto, e che speriamo di vedere il più possibile.