Hope X è la decima edizione di questa conferenza cominciata nel 1994. Ma come ti è venuta l’idea di organizzare questo tipo di evento, chiedo ad Emmanuel Goldstein

Andando in giro, viaggiando, vedendo altre conferenze di questo genere organizzate in Europa, eventi che ho sempre amato molto, specialmente quelli olandesi come il Galactic Hacker Party della fine degli anni ’80. Vedendo questo genere di eventi ho pensato che ce n’era bisogno anche da noi, in America, c’era bisogno di trovare degli spazi fisici e temporali dove incontrarsi e confrontarsi, fare cose insieme, collaborare”

L’edizione di quest anno di Hope è dedicata ai dissidenti americani. La lista dei nomi che compongono questo pantheon a cui è dedicata la conferenza, è lunga e comprende Rosa Parker, Arthur Miller, Lenny Bruce, Noam Chomsky.

Come ogni anno ci sono tre sale principali dove si svolgono le conferenze e le sale vengono tradizionalmente battezzate con nomi inerenti al tema dell’edizione in corso. Le sale di HOPE X portano i nomi di Serpico, il poliziotto newyorchese che ha denunciato la corruzione della NYPD, Olson, avvocato che ha più volte difeso la libertà di stampa di giornalisti investigativi, e Manning, in onore di Chelsea Manning, soldato americano che per le sue rivelazioni su la guerra in Iraq affidate a Wikileaks, sta scontando una pena di 35 anni.

Tra i dissidenti ospiti di HOPE, è molto atteso l’intervento video di Edward Snowden previsto per sabato alle 14. L’apparizione di Snowden segue di un’ora un altro attesissimo personaggio pubblico, l’ottantatreenne Daniel Ellsberg, il whistleblower che agli inizi degli anni ’70 con le sue rivelazioni su la guerra del Vietnam ha dato un brutto colpo all’amministrazione Nixon, oltre che all’immaginario collettivo statunitense su la purezza delle intenzioni del governo americano.

Altra figura di spicco è Thomas Drake, ex NSA, che farà un dibattito su attivismo e prassi distopiche con la regista Vivien Lesnik Weisman, autrice del film documentario The Hacker Wars,che verrà proiettato durante la tre giorni di Hope.

Oltre a questi interventi si alterneranno dibattiti e seminari, con temi correlati ai difficili tempi in cui viviamo.

Molti seminari su come difendersi, come utilizzare degli strumenti quali il Freedom of Information Act (FOIA), come utilizzare la crittografia, come avere una connessione sicura e non avere un colabrodo per home router (“Il router è ciò che c’è tra te ed intenet” recita il sottotitolo del seminario).

Il tema della tutela della privacy e dei propri dati è il tema portanteeeee di questa edizione, come difendersi dal grande nemico esterno sopratutto se di professione si fa il giornalista, specialmente se si è un giornalista investigativo, come per il panel di Barton Gellman del Washington Post, uno dei giornalisti che ha ricevuto parte delle informazioni top secret di Edward Snowden; il seminario di Ladar Levison, fondatore di Lavabit, servizio mail crittografato usato, ancora una volta, anche da Edward Snowden e costretto a chiudere per non subire le pressioni della NSA.

Un altro seminario si propone di spiegare perché la mail è in se uno strumento non sicuro e come è, invece, possibile per tutti renderlo a prova di PRISM. Sempre sull’utilizzo degli strumenti e sulla scelta di strumenti sicuri, ci sarà un panel su Secure Drop, uno strumento per scambiarsi file, anche questo a prova di spioni.

Ma non solo il grande nemico comune è quello da combattere. La propria privacy è messa a repentaglio anche da piccoli maligni locali. Nella vita quotidiana dei più non ci si ritrova a fare i conti con la NSA, ma, come spesso accade, il nemico è qualcuno di vicino a noi, come un compagno abusante dal quale doversi difendere anche digitalmente. Gli avversari reali tendono ad essere coniugi, genitori, dirigenti, amministratori scolastici, magari la polizia locale. Questa conferenza insegnerà a come tutelarsi in situazioni di questo tipo perché sì, i grandi cattivi hanno la loro importanza, ma combattere un miliardo di piccoli delinquenti, probabilmente conta di più.

Tra gli ospiti della zona dedicata ai banchetti di divulgazioneeee ed informazione ci sarà, come sempre quello della Electronic Frontier Foundationdistribuireire materiale informativo su la difesa dei propri diritti, digitali e non. Nello stesso spazio ci sono anche espositori, ditte individuali che producono portadocumenti a prova di lettore di RFID, ad esempio.

Per difendersi esistono degli strumenti, molti di questi bisogna solamente sapere che esistono per poterli utilizzare ed in questa edizione di HOPE saranno a disposizione di tutti.

Definirsi hacker è sempre stata una sfida scomoda, il termine, nel vasto pubblico, richiama personaggi oscuri, pericolosi e nel migliore dei casi un po’ sfigati; da qualche anno non è più così, il termine hacker non è più visto come negativo o come dispregiativo.

Non è così da diverso tempo- dice Rob Vincent, hacker del gruppo di 2600 e parte della conduzione radiofonica della trasmissione Off The Hook – Il termine è stato usato in modo peggiorativo a lungo ma in realtà un hacker è una persona che si interessa in modo curioso al funzionamento delle cose e non si ferma alla superficie. I media stessi hanno cambiato linguaggio già un po’ di anni fa e anche grazie a noi, ad esempio nel 1995 la produzione del film Hacker ha chiamato Emmanuel Goldstein come consulente e questo ha fatto si che fosse tutto un po’ più credibile e meno demonizzante”

Di sicuro questo processo nell’ultimo anno è stato accelerato dagli avvenimenti seguenti le rivelazioni di Snowden su come la privacy di ognuno di noi venga infranta quotidianamente e in ogni modo possibile; all’inizio, nel periodo dopo il 9/11, qualsiasi legge anche la più repressiva sarebbe stata tollerata in nome della sicurezza e regalare la propria privacy in cambio di sicurezza sembrava ai più assolutamente accettabile. Cosa sono un po’ di dati se in ballo ci sono vite umane e traumi collettivi della portata di quello delle torri gemelle?

Questo scambio tra dare e avere è stato letale – dice Emmanuel Goldstein – Nel 2001 e negli anni subito successivi tutti erano disposti a rinunciare alla propria privacy in cambio della sicurezza, come se ci fosse una relazione diretta, poi. Non si capiva che quando stai accettando di rinunciare alla tua privacy non stai accettando niente in cambio, non c’è uno scambio, stai solo accettando di regalare la tua privacy e basta. Questo ha portato al rinunciare a tutta una serie di diritti e quando rinunci a dei diritti questi poi non tornano indietro da soli, dovrai lottare per riavere qualcosa che ti era dato. Quello che pensavo nel 2001 è che i bambini nati dopo quella data conosceranno solo questo tipo di mondo, questa sarà la loro normalità”

Sono anni che Goldstein e tutto il gruppo di 2600 continuano a ripetere che bisogna difendere la propria privacy, che i propri dati personali possono divenire un mezzo di controllo, ora questo è finalmente divantato buon senso comune ed anche chi ripeteva di non aver niente da nascondere non è più convinto che lsciarsi monitorare sia una buona soluzione

Avere ragione non è il punto – continua Goldstein – Sapevo, sapevamo di aver ragione prima, sappiamo di aver ragione adesso, l’importante è che questa consapevolezza sia condivisa dal numero più vasto di persone possibili. Siamo tutti d’accodo, avevamo ragione noi, non eravamo paranoici, ci stanno spiando e questo non va bene: ora che si può fare? Molta gente pensa che per poter difendere la propria privacy sia necessario aver delle competenze molto sofisticate e conoscenze derivate da anni di studi, non è così, si può delegare, si possono usare strumenti realizzati da altri, strumenti affidabili e sicuri. Questi strumenti esistono, basta uscire dall’ambiente dei software commerciali, non affidarsi solo e sempre a microsoft, per esempio, ma orientarsi verso il software libero. Per questo gli hacker sono importanti. A di là delle demonizzazioni è così chiaro da che parte stanno gli hacker. Da sempre incitiamo ad usare la crittografia forte, dei sistemi di scambio di informazioni sicuri: se il nostro intento finale fosse quello di entrare nei sistemi di tutti staremmo davvero incoraggiando chiunque a proteggere i propri dati e le proprie connessioni nel modo più sicuro possibile? ”

Sembra ormai che i due mondi, quello hacker e quello degli attivisti si sia sovrapposto, che essere un hacker non possa più “solo” essere voler far funzionare un computer in modo non canonico

Questo è sicuramentee vero. – dice Rob Vincent – Io mi sonoavvicinatoo all’attivismo grazie alla mia attività di hacker, non viceversa. Ora mi capita che persone al di fuori della mia cerchia parlino di argomenti di cui noi parlavamo cinque anni fa, ma ne sono a conoscenza, questo è positivo”

Gli hacker hanno cominciato ad occuparsi di politica per necessitá. – aggiunge Goldstein – Essere spettatore degli eventi di questo periodo storico ti convince che è meglio essere cosciente delle leggi che vengono approvate. Molti hanno cominciato ad occuparsi di

politica perché per far funzionare una macchina a modo loro dovevano tener conto delle limitazioni legali.”

La conoscenza diffusa di argomenti prima di nicchia è un dato assolutamente positivo – aggiunge Kyle, anche lui parte di 2600 e della redazione di Off The Hook – Che la NSA, le sue attività, i suoi scopi, siano diventati un tema di discussione comune è un dato positivo sotto ogni aspetto. Questo è avvenuto nell’ultimo anno. Ora anche persone che non se ne sono mai occupate sanno cosa sta succedendo davvero”

E che la conoscenza sia un potere benefico non è una novità in questo ambiente