Quando si muove Mahalla al-Kubra, i regimi al Cairo tremano. Un adagio spesso ripetuto nel distretto tessile sul Delta del Nilo, cuore pulsante delle lotte dei lavoratori e dei conflitti socio-economici con il governo centrale.

Lo sa anche il generale-presidente al-Sisi che ha atteso un mese dalla fine dello sciopero che ha coinvolto ad agosto 17mila operai dei 30 stabilimenti industriali per abbattere sui sindacati indipendenti la scure della punizione.

Undici sindacalisti, tra cui alcune leader di Mahalla, sono stati arrestati. La polizia si è presentata nelle loro case il 16 settembre, tre giorni prima della grande manifestazione organizzata al Cairo di fronte alla sede del sindacato dei lavoratori del fisco (e per la quale, come prevede la controversa legge anti-terrorismo egiziana, era stata chiesta l’autorizzazione al ministero degli interni).

Tra le accuse – secondo indiscrezioni – ci sono incitamento alla protesta, abuso dei social media e affiliazione a gruppi illegali. Resteranno in custodia cautelare fino all’interrogatorio del procuratore.

Due giorni fa la Confederazione Sindacale Internazionale e la Public Services International, che rappresentano 200 milioni di lavoratori nel mondo, hanno scritto ad al-Sisi per chiedere il rilascio dei sindacalisti, membri di unioni indipendenti dall’asservito sindacato para-statale.

Il 16 settembre, inoltre, quattro operai e due operaie di Mahalla al-Kubra erano stati sospesi dal posto di lavoro per istigazione allo sciopero; una settimana prima a sei leader della protesta agostana era sto impedito l’ingresso in azienda e un altro era stato trasferito in uno stabilimento di Alessandria, 150 km di distanza.

Sempre per aver aderito allo sciopero, attività che nell’Egitto della miseria crescente, dell’inflazione alle stelle e della crisi economica resta un tabù. Tanto che tutti e 17mila gli scioperanti si sono visti decurtare dallo stipendio di settembre il 25% dell’assegno.

Così al-Sisi, che durante lo sciopero non era intervenuto consapevole che una repressione avrebbe acceso proteste ben più pericolose per la tenuta del regime, agisce a distanza di un mese colpendo un ampio spettro del mondo sindacale indipendente.

Le dichiarazioni vengono lasciate per altre occasioni. Giovedì per la prima volta il nuovo ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini, ha incontrato il ministro degli esteri Shoukry: i due hanno ribadito l’impegno a cercare la verità sul caso di Giulio Regeni.

Più interessante è però la partecipazione di Cantini, lo stesso giorno, alla fiera agricola Sahara Expo, una delle più grandi dell’intero mondo arabo: «Ci sono ampie possibilità per rafforzare i rapporti economici tra Italia e Egitto, principalmente a livello di piccole e medie imprese e nel settore manifatturiero», ha detto.

«L’agricoltura – ha aggiunto, come riporta Agenzia Nova – è uno dei settori più importanti della cooperazione tra Italia e Egitto, vi sono le condizioni per incrementare il volume commerciale del settore nel prossimo periodo». Questo è quello che Cantini è andato a fare in Egitto: normalizzare.