Non è un Paese per giovani. Anche, soprattutto, nel calcio. Da anni, la sinfonia suonata su tv e giornali è questa: i club, grandi e piccoli, non investono sui settori giovanili. Preferiscono fare spese all’estero. Portando sui campi di serie A – ma anche nelle categorie inferiori – materiale di scarsa qualità, impoverendo il livello tecnico del nostro pallone. Ora la sentenza arriva dai numeri. Secondo un rapporto sui settori giovanili europei del Centre International d’Etude du Sport (Cies) Football Observatory, non c’è una società italiana tra le prime dieci “produttrici” di atleti. Ovvero, che formano calciatori nel settore giovanile per poi inserirli nella rosa della prima squadra, oppure vendendoli a un altro club.

Il Barcellona è primo per distacco (44) tra talenti poi divenuti firme del calcio al Camp Nou (16), oppure finiti nei top cinque campionati europei (28 tra Bundesliga, Liga, Ligue1, Premier League, Serie A). Insomma, la generazione di Xavi, Iniesta, Messi, Fabregas, Busquets, Piqué che è cresciuta a pane, studio e tiki taka nella Masia, prima di dominare il mondo. Alle spalle dei blaugrana, il Lione (14 in prima squadra, 17 piazzati all’estero), poi il Real Madrid (7 su 31 a disposizione di Carlo Ancelotti) che nell’immaginario collettivo pallonaro colleziona top player sul mercato come fossero figurine. Poi, Rennes (Ligue1), Arsenal, Manchester United, Bayern Monaco, Stoccarda, fino all’Atalanta, unica italiana presente nella top ten. Nei titoli di coda dell’indagine, la Roma (16esima), Juventus (24esima), Inter (31esima). Nessun cenno su Milan e Napoli (che è ripartito da zero dal 2004), le altre big di Serie A. Con il club bergamasco che da sempre privilegia la formazione dei futuri campioni, poi venduti per rifinanziare, anno dopo anno, il settore giovanile.

Domenico Morfeo, Thomas Locatelli, Alessio Tacchinardi, Riccardo Montolivo, Gianpaolo Pazzini. Sino ad Andrea Consigli e Giacomo Bonaventura, i migliori dell’ultima generazione. Ma lo studio è esteso ai 31 principali tornei nazionali d’Europa. E non c’è un club italiano tra le prime 25 «fabbriche di calcio». Il Barcellona stavolta si piazza sul terzo gradino del podio, dietro l’Ajax (69, con 12 che giocano per la società olandese, storico serbatoio europeo) e il Partizan Belgrado. E nella top 25 trovano posto top club come Real Madrid, Bayern Monaco, Arsenal, che pure investono centinaia di milioni di euro sul mercato per rastrellare i fenomeni del momento. Dunque, si sfornano talenti nelle cantere spagnole.

Oppure nelle academies inglesi, con la Ligue1 da decenni specializzata a tirar fuori campioni che poi lasciano la Francia. Milioni di euro investiti in strutture, coaching, formazione. Un modello su cui ha chiesto ad Aurelio De Laurentiis di puntare il tecnico del Napoli Rafa Benitez dall’inizio della sua avventura bis nel calcio italiano e su cui è tornato Arrigo Sacchi nei giorni scorsi su La Gazzetta dello Sport. Mettere mano al portafogli per il settore giovanile.

Non basta spendere la quinta parte dell’assegno che staccano Barcellona e Real Madrid (una cifra che si aggira intorno ai 50 milioni di euro annui) per crescere in casa i fuoriclasse del futuro. Senza considerare che è una politica dai dividendi assicurati: minor spesa sul mercato, niente bilanci in rosso, talenti che diventano l’anima calcistica del club.