Le notti invernali a Ekaterinburg, in Russia, al confine tra Asia ed Europa, sono fredde, la temperatura si aggira intorno ai meno 20, la neve regna incontrastata, la gente ha poca voglia di andare in giro e il giorno ha poche ore di luce da vivere in fretta prima di chiudersi al calore delle case. I grossi palazzi moderni sembrano dormire nel tran tran quotidiano, mentre gli edifici storici osservano da lontano e aspettano la corta estate russa, qualche costruzione diroccata è stata lasciata lì, da sola, come un guardiano abbandonato. Fanno capolino i colossi costruttivisti di cui Ekaterinburg porta il primato di presenze, un’altissima concentrazione di strutture, monumenti celebrati nella storia dell’architettura e nelle maggiori riviste di settore, come su ArchDaily grazie agli scatti di Denis Esakov.
LUOGHI ICONICI
Purtroppo gli ultimi dieci anni di edificazioni hanno lentamente cancellato alcune delle tracce di quel periodo lasciando un’eredità da conservare, preservare e valorizzare. Un gruppo di giovani architetti russi, Podelniki, ha segnalato, ad esempio come la costruzione nel 1980 del Palazzo della Cultura Popolare e, più attualmente, di un supermercato, abbiano sminuito il ruolo della White Tower, perla costruttivista, come punto di riferimento del quartiere Uralmash nella linea prospettica del viale Kultury. Lo stravolgimento urbanistico è accentuato dallo stato di abbandono del monumento, privo di porte, di finestre e con danni esterni, tale situazione ha dato vita nel 2012 ad un progetto internazionale, «The White Tower Project», sempre ad opera del Podelniki group che segue anche le vicende legali della famosa torre.
La White Tower è infatti uno dei luoghi iconici di Ekaterinburg, alta 30 metri su disegno di Mosè Reischer, al momento della sua costruzione, tra il 1929-31, era il serbatoio d’acqua più grande al mondo; fu tra i primi edifici in città costruiti in cemento armato e rappresenta la prima esperienza di utilizzo di saldatura per il montaggio di un serbatoio. Immagini di repertorio mostrano la torre circondata da alberi, in piena foresta, mentre ora il gigante sembra un enorme semaforo spento all’angolo di un incrocio cittadino.
Nel 1960, la torre è stata scollegata dalla rete idrica e numerosi progetti hanno valutato la sua riconversione mai attuata. Il simbolo di una nuova era sociale è ora divenuto emblema contemporaneo perché inserito nelle reti internazionali dei giochi russi notturni, come Encounter e Dozor, una specie di caccia al tesoro in cui superare prove e trovare indizi in diversi luoghi della città.
L’importanza della valorizzazione della torre ha suggerito quest’anno, per la seconda volta, all’organizzazione no-profit Cultural Transit Foundation di inserire la White Tower nell’Undark Festival, come location per un’istallazione luminosa.
Il festival, a cura di Evgenia Nikitina, presidente del Cultural Transit Foundation, è strettamente connesso con la città di Ekaterinburg, la sua storia e la sua cultura, ed è nato nel 2012 come iniziativa privata di un gruppo di artisti e della C. T. F. L’obiettivo principale di Undark è «allungare il giorno più corto dell’anno» grazie alla luce di installazioni e proiezioni video, il tutto si svolge ogni anno per poche ore a ridosso del tramonto: il sabato più vicino al solstizio d’inverno: 17 dicembre quest’anno. Undark è un festival di ricerca ed è l’occasione per i visitatori per riscoprire Ekaterinburg e per dar spazio a riflessioni su attualità e problemi sociali.
Progettato solo come festival «per gli amici» tra i giovani del centro d’arte contemporanea, gli studenti e le loro famiglie, nel 2015 ha contato ben 3000 visitatori. Nonostante le temperature che sfiorano i meno 25 gradi, gruppi di ragazzi, ma anche genitori con bambini, si avventurano alla ricerca delle piccole installazioni dislocate in diversi luoghi della città, anche ad una distanza di 3 km, forniti di una mappa che segna i punti da raggiungere. I primi anni la luce era alimentata dalle batterie delle automobili e da generatori, e gli artisti vicini alle proprie opere resistevano all’odore del gasolio e alle temperature quasi artiche per salutare il pubblico e spiegare la propria installazione. Dal 2014 la società elettrotecnica MTElectro è stata partner del festival e dal 2015 lo è anche il Center of the first Russian President Boris Eltzin.
EREDI DI AVANGUARDIE
Gli artisti scelti sono in prevalenza del posto ma compaiono nel programma anche ospiti stranieri come Carol Salmanson, artista di New York, che, per l’edizione di quest’anno, ha omaggiato con la sua opera nella White Tower il costruttivismo e quindi la storia di Ekaterinburg. L’installazione della Salmanson, Water Bubbles, usa la luce e la trasparanza delle venti finestre della torre per giocare con le forme circolari e i riferimenti alla pittura di Malevich, Moholy-Nagy, Lissitsky, e Popova. La severità delle forme della torre sembra strizzare l’occhio al paesaggio grazie ai colori accesi dei disegni dell’artista americana, e finalmente un nuovo e attualizzato immaginario si fa largo per il gioiello costruttivista.
Le altre installazioni (Max Sudhues, Iva Polanecka, Vlas Slepentsov, Ludmila Kalinichenko, Dmitriy Bulnygin, Sasha Pint-Ivan Cherkasov-Vladimir Razhev, Sergey Laushkin, Pavel Vasiliev-Igor Maratkanov-Ivan Philippskich, Anastasya Krochaleva, Vladimir Seleznev, Alexandr Cherdantsev, The Evils, Maria Plaksina, Anastasya Egorova-Julya Simakova- Denis Perevalov, Raisa Zorina-Artem Bercovich, Nata Chochonova, Interior Center Architector) invadono gli spazi pubblici, si nascondono nella neve, creano un nuovo paesaggio, irreale, fatto di luce eppure saldamente ancorato alla realtà, ai tanti problemi e alle contraddizioni sociali.
Una pianta da interni riscaldata da una condizionatore e segnalata da una freccia al neon, opera di Ludmila Kalinichenko, invita alla riflessione sulle fonti di energia, organiche e artificiali, ma anche sulle necessità relazionali legate alla vicinanza in ambienti difficili. Così come i meteoriti di Maria Plaksina, realizzati in paglia e argilla e che hanno all’interno un vero fuoco incandescente, rimandano all’inquinamento luminoso artificiale negli spazi urbani.
Non mancano riferimenti culturali come l’enorme ombra proiettata su un muro, di The Evils, che si fonde con i profili dei passanti e diventa citazione delle teorie di stabilità e movimento di Calder, mentre la scatola dai led verdi, realizzata da Alexandr Cherdantsev, ricorda lo scrittore russo Pavel Bazhov e il suo The Malachite Box, invito esplicito alla ricerca di una nuova identità degli Urali. Luce, politica, neve e storia si fondono in Undark nella fredda notte russa.