Due storie – ispirate a una vicenda reale accaduta in Colorado nel 2011 – che non si sovrappongono ma si incrociano. La prima riguarda Marie Adler (Kaitlyn Dever), ragazza fragile dai terribili trascorsi familiari e esperienze traumatiche in alcune famiglie affidatarie. Appena maggiorenne vive sola in un residence per giovani in difficoltà quando un individuo mascherato entra di notte nell’appartamento e, sorprendendola nel sonno, la stupra per ore andandosene senza lasciare traccia. In parallelo scorrono le storie di due detective: Karen Duvall (straordinaria Merrit Wever) e Grace Rasmussen (una dolente Toni Collette). Donne completamente diverse – Duvall pensa sempre in positivo, Rasmussen è pragmatica e cinica, indurita da esperienze di vita – e operano in due distretti diversi. Decidono di unire le forze dopo aver scoperto di stare indagando sue due crimini sessuali con un modus operandi molto simile uno all’altro, tanto da far pensare che si tratti di un unico stupratore. Unbelievable, miniserie in otto episodi sotto il segno di Netflix creata da Susannah Grant, Ayelet Waldman, Michael Chabon – è una delle migliori fiction dell’anno, grazie a una sapiente sceneggiatura che si muove a cavallo tra il true crime e il crime drama, giocando sulle pause, sottolineando particolari e piccole sfumature.

E SOPRATTUTTO, lavora con puntigliosità e finezze psicologiche sulle personalità dei protagonisti. Anche perché il tema è forte – la violenza sulle donne, un topic su cui Netflix si è soffermato in diverse produzioni nel corso delle ultime stagioni, come Happy Valley con Sarah Lancashire e Broadchurch con il sergente Olivia Colman (premio Oscar e che vedremo a breve come nuova regina Elisabetta in The Crown 3). Ed è suggestiva la scelta registica che propone nel primo episodio la testimonianza della giovane e spaurita Marie davanti a poliziotti che non solo sono impreparati a interagire con una vittima di violenza, ma arrivano a confutare la veridicità del suo racconto accusandola di «falsa testimonianza», mentre nel secondo episodio troviamo Duvall pronta a raccogliere la denuncia di un’altra giovane vittima, Amber (Danielle Macdonald), con ben altro calore e adeguatezza.

SUSANNAH GRANT – co-autrice e anche co-regista – evita poi ogni compiacimento e si concentra piuttosto sul punto di vista soggettivo delle vittime: sui loro timori, sulla diversa capacità di elaborare un trauma così devastante. Unbelievable non cerca mai momenti di autocompiacimento né di sollecitare la facile emotività dello spettatore – anche nell’udienza finale dove il colpevole viene affrontato dalle vittime nell’aula del tribunale sceglie un durissimo ma efficace low-profile. Unbelievable suona quindi come un atto di accusa contro un sistema giudiziario – e le persone che lo governano – che non è mai dalla parte delle vittime.