Ultima opportunità per l’Europa? Così recita l’epocale sottotitolo de Il gigante incatenato (Fazi editore, pp. 250, euro 18) di Martin Schulz, presidente uscente dell’Europarlamento e candidato dai Socialisti e Democratici alla presidenza della Commissione europea in occasione delle elezioni europee della prossima primavera. Schulz è l’eurodeputato conosciuto alle cronache italiche per l’infausto appellativo di Kapò affibbiatogli nel luglio 2003 da Silvio Berlusconi, protagonista di un incandescente dibattito all’Europarlamento, in qualità di Capo del Governo italiano e presidente di turno del semestre europeo. A luglio ci sarà Matteo Renzi in quella funzione. Difficile immaginare che riesca ad eguagliare il suo predecessore. E una volta tanto verrebbe da dire: per fortuna. Magra consolazione.

Ma Martin Schulz è soprattutto un leader socialdemocratico tedesco fortemente europeista. Negli anni Settanta, era un giovane libraio nel piccolo borgo di Würselen, del quale è stato poi anche sindaco. Quindi la trentennale militanza nella socialdemocrazia tedesca e il ruolo da eurodeputato ricoperto dal 1994. Il libro è un accorato appello per salvare il progetto di integrazione continentale. E se da una parte questo appello è sicuramente rivolto alle cittadinanze d’Europa che a maggio eleggeranno i propri eurodeputati, dall’altra sembra evocare convitati di pietra molto vicini allo stesso autore dell’appello. E vicini per prossimità di governo. Visto che Angela Merkel è cancelliere del governo tedesco in virtù di quella Große Koalition che i socialdemocratici sostengono con convinzione. E Angela Merkel risulta essere tuttora la più strenua sostenitrice di quell’Europa tedesca che dispensa rigorosa austerità per gli «spendaccioni» Paesi mediterranei. Fedele al motto più volte ripetuto che «mai più dovrà essere il contribuente a pagare se la banca fallisce». Con un corollario sottinteso: il «contribuente tedesco». Tutt’altro che una postura sinceramente europeista, insomma.

Sicuramente non europeista nel senso descritto da Schulz in questo libro, che merita un’attenzione particolare, poiché è una sorta di consuntivo dei fallimenti europei nella Grande Crisi e contemporaneamente un abbozzo di programma di governo per la nuova Commissione. Sul banco degli accusati c’è l’oramai quarantennale ortodossia neoliberista. Quella che ha diffuso nel mondo il mantra del «privatizzare i guadagni e collettivizzare le perdite». E il giudizio di Schulz appare inequivocabile. In più parti del libro se la prende con il fatto che nella «lotta alla crisi» siano state «utilizzate le ricette dei neoliberisti, che già avevano causato tante sciagure». Non manca una necessaria autocritica: «siamo stati noi stessi a vincolarci alle agenzie di rating, stabilendo per legge che le loro valutazioni abbiano precise conseguenze».

Qui è sotto accusa la classe dirigente europea, cui appartiene lo stesso Schulz. Il quale tiene però a precisare il grande scacco nel quale è finita la crisi dei debiti sovrani, divenuta crisi della moneta comune con gli attacchi speculativi degli anni 2010-2012. Dall’avvio delle speculazioni si è registrata la tendenza alla «verticizzazione» nella gestione della crisi, inaugurata dal «direttorio franco-tedesco» dell’ottobre 2010, con Angela Merkel e l’ex presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy. Poi solo a gestione tedesca. È questo il cuore dell’attuale conflitto politico in Europa. Una crisi di gestione della crisi imputabile ai capi di governo. Sembra una lontana eco della «crisi del management della crisi», come Claus Offe descriveva la crisi capitalistica dei primi anni Settanta del Novecento. In questo caso Schulz la utilizza per evidenziare il gioco della colpa. Un gioco al massacro che le gelose diplomazie intergovernative hanno rivolto contro le istituzioni europee. L’intera architettura continentale, e in particolare l’Eurozona, restano ostaggi di quello che è divenuto un governo di emergenza continentale che vede spadroneggiare il metodo Merkiavelli, come è stato provocatoriamente definito il comportamento di Frau Merkel da Ulrich Beck. Un’esaltazione dell’ortodossia ordo-liberista dello Stato nazione nel contesto europeo, che fa leva sulla supremazia del consenso nazionale e sull’ossessione tedesca per la stabilità, congiunta a un’arte dell’esitazione come strumento di coercizione nei confronti degli Stati colpevoli di essere in debito. Perché chi è in debito è anche in colpa. In tedesco Schuld significa sia debito, che colpa: della colpa come debito. Ma Schulz si rifiuta di aderire a questa interpretazione politica di Schuld.

Per questo afferma che bisogna invertire la rotta degli anni 2008-2012, in cui l’Europa è stata governata in maggioranza da governi neo-liberisti. Ma come realizzare questo mutamento? È lo stesso Schulz a ricordare una pratica collettiva tra movimenti sociali e Parlamento europeo. Quando quest’ultimo, nell’estate 2012, bocciò la ratifica dell’accordo anti-pirateria, l’ Acta (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), su spinta dei movimenti sociali, per i diritti civili e i mediattivisti.

Solo innescando un movimento virtuoso tra cittadinanze ed Europarlamento si potrebbe dare seguito a quello che anche Schulz propone nel suo libro. Emissione di eurobond, fondi di ammortamento del debito, Europa sociale, politiche pubbliche continentali anti-cicliche. Perché non si può che essere «contrari ad una politica europea capace di mobilitare 700 miliardi di euro per stabilizzare il sistema bancario, ma che vuole spendere soltanto 6 miliardi per la disoccupazione giovanile», come recita l’appello sottoscritto da Habermas, Beck, Morin e molti altri lo scorso 27 febbraio. Resta un mistero come sia possibile battersi per questa Europa politica e sociale stando alleati al governo con Angela Merkel.