L’autobiografia di Dario Argento ha qualcosa in sé di spregiudicato. E’ questa forse la cifra stilistica che consente al regista romano, a più di 70 anni, di affrontare il racconto della sua vita non nascondendo, né nascondendosi, nulla. E bizzarro a dirsi con facili luoghi comuni: gioie e dolori; padri e madri, figli, mogli e amanti; successi incredibili e flop, anche economici, devastanti; cinema e letteratura; amici, nemici e colleghi; critici e critica; giornalismo e cronaca. Seppur mosso, sempre, da quella “paura”, che per lui è molto più di uno stato emotivo. Di certo è qualcosa somigliante ad un sentimento senza il quale l’impossibilità di vivere prenderebbe il sopravvento sulla sua inquieta esistenza e che non poteva non essere che il titolo del suo libro, Paura (a cura di Marco Peano, Einaudi pp. 352 euro 19,50). Tuttavia ciò, insieme alla caratteristica di oralità che la narrazione conserva sulla pagina scritta, consente al lettore spesso e volentieri, anzi quasi consegnandosi con piacere al regista, di immedesimarsi nelle situazioni, anche quelle più scabrose. Ma e più di questo, in rapido elenco ad essere trascelti nell’ampia messe di episodi che il regista romano racconta con dovizia e sovrabbondanza di particolari vi sono quelli di gioventù; tutta vissuta in un ambiente familiare che dava all’arte “del tu”. La madre Elda, della dinastia dei fotografi Luxardo, fu celebre per i suoi ritratti di attrici e il padre Salvatore, direttore di produzione per moltissimi anni, prima di produrre in prima persona i film del figlio, ne assecondarono, per certi versi, la creatività. Almeno, non la ostacolarono. Nemmeno nei suoi atteggiamenti più ribelli e anticonformisti per chi aveva avuto la fortuna di avere vent’anni negli anni sessanta del secolo scorso. In una intervista di qualche tempo fa, replica in controcanto alle parole del libro, lo stesso Dario Argento disse: “Ero giovane, ma avevo già fatto un film importante che stava avendo successo. Avevo una certa sicumera, amavo il cinema e mi pareva di saperlo fare, di avere delle grandi idee. Una cosa che adesso sento molto meno. Probabilmente questa sicurezza era quella che era piaciuta a Leone”. E piacque a molti altri. Facile a questo punto cogliere tra gli snodi più accattivanti del volume l’andare a pescare tra gli avvenimenti che raccontano i suoi film più celebri, i segreti della trilogia degli “animali”, piuttosto che la genesi di “Profondo rosso” o le suggestioni di “Suspiria”, l’apprezzamento di tanti colleghi, la venerazione americana e quanto altro concerne un successo ormai raccontato da retrospettive e omaggi mondiali. Più difficile è invece andare a scavare tra i fallimenti che, come detto, Argento non cela. Più degli “scazzi” sentimentali con fidanzate, compagne, mogli e figlie (strappano un sorriso le incomprensioni con l’altro genio di famiglia, l’attrice e regista Asia), è estremamente interessante leggere la lucidità con cui il regista affronta le proprie cadute professionali e la difficoltà di rialzarsi, consegnando – quanto inconsapevolmente – un vero e proprio “manifesto” di pura salvezza quotidiana per chi desidera intraprendere la via del far cinema. Altrimenti l’intera carriera dell’autore di almeno due capolavori del cinema di genere, e non solo italiano, come “Profondo rosso” e “Phenomena”, andrebbe notevolmente ridimensionata. Ed infatti, proprio rispecchiando i film meno riusciti nei due film capolavoro, perennemente in bilico tra giallo e horror, collegati tra loro dalla presenza del “paranormale”, vi è l’equivoco filmico di Argento: la consapevole incapacità di saper “gestire” le storie che vuol rappresentare. Forse perché più che storie compiute, sono visioni, flash, momenti di una estetica, costruita col tempo e superata dalla realtà contemporanea che ha spettacolarizzato al massimo grado la violenza, il sangue, il delitto. Ecco che s’affaccia un altro equivoco: la citata notorietà “americana” del regista che sente sempre il bisogno di essere punto di riferimento e maestro per le nuove leve d’oltreoceano, finendo oggi con la sua autobiografia per esserlo sul serio.