Da ottobre si vedrà. Si toccheranno con mano davvero le conseguenze di uno scenario inedito, potenzialmente devastante per il mondo della musica e per la circuitazione concertistica. Fino a maggio eravamo tutti blindati, atterriti dalla pandemia, i musicisti erano chiusi in casa, come il resto d’Italia, e questa condizione (pur con le rilevanti differenze, sia all’interno della categoria che rispetto alle altre) ha un po’ cementato il periodo come fosse una bolla, una pausa (tremenda), uno stop comunitario e condiviso. In estate è stata messa qualche piccola toppa, si sono trovate soluzioni alternative, si sono escogitati progetti (quasi sempre in “sottrazione”) che potessero lasciare aperti spazi e rassegne e dare un po’ di ossigeno, morale ed economico, ai musicisti e ai lavoratori del comparto musica. Ma non possiamo raccontarcela troppo rosea: si è potuto provare a rilanciare la musica dal vivo anche grazie al fatto che gran parte delle rassegne estive usufruiscono di sovvenzioni e contributi da parte di Regioni, comuni, proloco, in qualche raro caso dei fondi europei. Peraltro i festival, le feste di piazza, i teatri e le arene all’aperto hanno comunque rinunciato ad ingaggiare qualsivoglia band, ensemble o dj che facesse una musica appena un po’ più muscolare e che coinvolgesse troppo il pubblico. Sono rimaste così fuori dalla programmazione molte fasce della proposta di musica live mentre le altre – il jazz, la classica, certa world music, il bacino cantautorale – hanno comunque usufruito di ingaggi solo in parte paragonabili al pre-lockdown.

COSI’PARECCHI festival hanno alzato bandiera bianca e si sono arresi a rimandare tutto al prossimo anno (anche se saltare un anno per una rassegna è sempre un giochetto pericoloso), ma la stagione estiva ha comunque permesso di ritrovare il contatto con i riti del live e con le loro fragranze poetiche. In più c’era il sole, la voglia di vacanze e condivisione, e gli spazi all’aperto permettevano quasi di fare “come se”. In ottobre, a partire da ottobre, invece si vedrà. Si percepiranno davvero le conseguenze di una crisi profonda e di una fase che sapevamo essere emergenziale, ma che speravamo un po’ ingenuamente non troppo dilatata nel tempo. I concerti invece d’ora in avanti verranno programmati forzatamente al chiuso e la proposta dovrebbe tornare a fare affidamento (è un ragionamento che include anche cinema e teatri) sullo sbigliettamento, sull’affluenza di pubblico e al momento il protocollo imporrebbe agli organizzatori perlopiù privati – gestori di club e teatri in primis – condizioni quasi sempre insostenibili (o sostenibili grazie a un corposissimo decurtamento, l’ennesimo, del cachet degli artisti). Senza contare il rimpallo psicologico del potenziale pubblico che potrebbe aver paura di rinchiudersi in uno spazio al chiuso, con la prospettiva tra l’altro di dover rimanere per tutto lo spettacolo con la mascherina. Questo futuro scenario, potrebbe innescare una vera e propria implosione di questi settori, una bolla di totale immobilismo e un crash davvero epocale. Non esistono ricette magiche naturalmente, vorremmo però che i governanti e gli amministratori avessero ben presente questa emergenza nell’emergenza e prendessero atto di dover prevedere fondi e aiuti per questo comparto nella forma di sovvenzioni sia per gli organizzatori che direttamente per i musicisti a prescindere dal rango e dal pedigree dei performers e dalla capienza degli spazi. Fare un po’ più cioè come in primavera ha fatto il Nuovo Imaie e un po’ meno come ha fatto la Siae (ma iniziative autunnali più illuminate e orizzontali sarebbero ben accette anche da parte di questo ente). I club e i teatri, grandi e piccoli (anche piccolissimi) dovrebbero pensare seriamente a una programmazione fatta con musicisti che restano in residenza per qualche giorno, in modo da poter replicare più volte e distribuire l’afflusso, o che perlomeno bissano l’esibizione nella stessa giornata (uno spettacolo alle 19 e uno alle 21,30). Per quel che riguarda i musicisti, occorrerebbe trovare finalmente un po’ di coesione, di solidarietà di classe (addirittura) e in futuro (un futuro che comincia subito) farsi trovare un po’ meno sorpresi dall’esigenza di rappresentatività politica, sindacale, associativa. Innanzitutto per evitare di restare, agli occhi di altre categorie, dei fantasmi votati chissà perché all’entertainment e non a una forma d’arte che è anche una nobilissima professione e che può pretendere lo stesso tipo di tutele di qualsiasi altro settore. 

OCCORRERA’ anche uno scatto di creatività: ideare progetti e inventarsi avventure performative che per quanto possibile siano inclusive senza provocare assembramenti sotto il palco e sforare nella calca. Più facile a dirsi che a farsi direte voi, certo, ma qualche esempio in questo senso c’è già: Guano Padano con “The Movie Soundtracks Concert“(che infatti ha girato moltissimo anche quest’estate), il “Viaggio al termine della notte” di Theo Teardo con Elio Germano, il tour acustico di Tosca, i “concerti al telefono” di Vanessa Tagliabue Yorke, il video concerto di Nick Cave (rigorosamente a pagamento e con qualità audio altissima)…Al pubblico infine è richiesto un atto di fiducia. Un surplus di entusiasmo e di curiosità. Testimoniare la propria voglia di partecipare ai concerti innanzitutto frequentandoli come prima, più di prima. Come quando rischi di perdere una cosa e ti ci attacchi con un afflato maggiore, pieno di riconoscenza, evitando ad esempio di dare l’impressione di essere accorso più per la quota bevande che per la quota musicale. Questa predisposizione presuppone anche altre mosse fattive, come quella di non indignarsi se un musicista propone un live (con tutti i crismi) via web e chiede un obolo per la visione e per l’ascolto e quella di sostenere i crowdfunding dei gruppi e dei musicisti che si amano, ma magari (compatibilmente con le proprie finanze) anche le raccolte fondi di musicisti che si conoscono meno e che accendono semplicemente una piccola scintilla di curiosità.

Di certo è un panorama pericoloso e aggrovigliato, ma proviamo a prendere quest’ultimo termine nel suo senso agglomerante e non in quello divisivo, perché davvero, da ottobre si vedrà.

PS la foto che illustra questo articolo l’ho scattata qualche giorno fa, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante il concerto de Il muro del canto. Un concerto mirabile, intenso, con un pubblico contingentato ma partecipe e un manipolo di gente che “friggeva” perché non poteva alzarsi dal proprio posto per danzare la musica che gli arrivava dal palco. Ci siamo sentiti tutti un po’ monchi, incompleti. Come un’asta senza microfono.