Resident Evil 8 the village è uscito da qualche settimana, bellissimo ma diverso da come ce l’aspettavamo. Via gli orrori truci alla Texas chainsaw massacre in un gioco che tenta la strada più impervia, quella del rinnovamento, del riscrivere e rimescolare le carte ormai risapute di una saga che quest’anno compie 35 anni e non mostra segni di cedimento. Resident evil 8 anzi VIII con i numeri romani che risaltano sulla parola village, villaggio, è qualcosa di sorprendente, innovativo e allo stesso tempo classico, pieno di suspense ma anche di sparatorie, un’opera d’alta magia sempre lì lì per essere disastro, sulla scia del sesto capitolo, ma che miracolosamente riesce ad amalgamare le sue tante anime con passione e soprattutto idee, tante, al potere, come nel mai troppo rimpianto 68.
Per questo forse RE 8, più ancora dell’ottimo numero 7, è una rivoluzione, è un gioco di passaggio, un capitolo di mezzo che invece ha così tante carte da giocare da diventare la voce più grossa, più autorevole, quella che mette finalmente in pace l’anima guerriera di Resident Evil 4, il modello più evidente, con la parte survival horror, dimenticata e svilita fino a tramutare la serie in un Gear of war del terrore. Per farlo Resident evil village usa il linguaggio delle fiabe, dei Grimm, delle storie del folklore letterario per ragazzi, e le rimescola, allo stesso modo del DNA impazzito di Alcina Dimitrescu e di uno dei suoi figli, il viscido Salvatore Moreau, nome non per nulla debitore della letteratura fantastica di H. G. Welles.
I mostri in Re 8 fanno la parte del leone: perfetti, veloci e assolutamente dotati di un’intelligenza che non li rende solo un mero tiro al bersaglio. Tornano anche gli zombi, inaspettatamente, poco romeriani, molto simili agli infetti che si armavano di coltelli e machete nel capolavoro degenere di Umberto Lenzi Incubo sulla città contaminata. Novità assoluta sono poi i lycan, licantropi che hanno una forma ancora umana, almeno nella prima variante, ma che appaiono simili a giganteschi berserk armati di martelli giganti quando rivestono il ruolo da capobranco.

OVVIAMENTE i lupi mannari sono anche animaleschi, giganti, vicini a quelli che avevamo ammirato in L’ululato di Joe Dante ma in chiave cronenberghiana, con la forma grottesca tipica degli esperimenti genetici. Resident evil 8 però ci presenta forse il piatto più forte del suo immaginario: i vampiri o meglio le vampire. Vicine alla ferocia di Bram Stoker, e quindi del capolavoro di Coppola o della variante sempre eccelsa di John Badham, le figlie della perfida Alcina Dimitrescu sono bellissime e spietate, uccidono governanti che poi trasformano in streghe impazzite e assassine, si cibano di sventurati, ma soprattutto amano giocare, come felini con la preda, con le vittime. Composte da mosche, l’invenzione più innovativa del gioco nel mettere in scena una creatura così inflazionata come il vampiro, muoiono col freddo diventando sofferte e stupende statue di cristallo, romantiche e gotiche come la Carmilla di Sheridan Le Fanu. Salvatore Moreau sembra uscito da L’isola degli uomini pesce di Sergio Martino, è la variante Lovecraft, un infelice demente che tenta di fare breccia nel cuore di una genitrice egoista, Madre Miranda, ritratta come una Madonna blasfema che immola figli per amore di una figlia perduta.

DONNA BENEVIENTO, bellissima, sfregiata e folle, è la Mary Shaw dagli occhi pazzi di Dead Silence di James Wan, e, come lei, guida le sue uniche amiche, delle bambole animate non dissimili alla Annabelle cinematografica. In mezzo ad orrori classici poi c’è la fabbrica di Heisenberg: il figlio più ribelle di Miranda costruisce ibridi umanoidi, terminator deviati non diversi dal divertente Frankenstein’s Army. Re 8 però è anche una storia d’amore e sacrificio, di un padre che si spinge oltre i confini della morte per salvare una figlia.
Così, come nei più grandi capolavori, le emozioni si confondono e si arriva alle lacrime, mentre noi scemi, magari quarantenni, col pad in mano che piangiamo come stringessimo un fucile. Dannata Capcom!