Un giorno o l’altro bisognerebbe tentare di dare una sventagliata critica sui documentari musicali, magari organizzando una panoramica o una pubblicazione sul genere, che la distribuzione in dvd, soprattutto fuori d’Italia, sta contribuendo non poco a valorizzare. Star in attesa dell’auspicata sistemazione, anche solo sfogliando booklet e copertine di dvd si trovano non poche sorprese nei cast tecnici (dunque non solo artistici) come accade nel film girato nel 2001 da Bettina Ehrhardt e prodotto da Wolfgang Schreiber (edito dalla Euro Arts): «A Trail on the Water. Abbado Nono Pollini». La traccia sull’acqua è data dalla città di Venezia – la città d’origine e di vita di Luigi Nono – che è quasi il gomitolo da sfilacciare per la costruzione di quella ormai lontana impalcatura amicale che ha unito per tanti anni il compositore al direttore d’orchestra Claudio Abbado e al pianista Maurizio Pollini. Proprio quest’ultimo ricorda Nono (Gigi per gli amici) come il più grande (usa «maggiore») dei tre insostituibili amici e come le sue battaglie culturali e politiche fossero diventano tutt’uno con il far musica insieme. Si è compiuto un giro largo, unendo tre degli argomenti del tema, audiovisivo, amicizia e musica, per introdurre, a chiusura del Festival Nono, tenutosi alla Giudecca dal 5 al 9 ottobre scorso, «Luigi Nono e il Cinema. Un’arte di lotta e fedele alla verità» (LIM/Quaderni di Musica e Realtà supplemento 4/2017, pp. 540 , euro 40), titolo dell’ultimo complesso e definitivo lavoro di Roberto Calabretto, che ha avuto, proprio nella «spinalonga» lagunare, uno dei primi battesimi. Innanzitutto, l’amplissimo studio di Calabretto, di cui si dovrebbe conoscere almeno l’altro definitivo «Pasolini e la musica», ha il merito di mettere a referto una produzione minore, ma assolutamente non marginale, della produzione di Nono, ritagliando uno spazio nell’angusto mondo della musica contemporanea, il più delle volte incomprensibile per il grande pubblico, ma quanto affascinante se si rendessero avvicinabili e comprensibili i moti e le ragioni dei protagonisti. Cucito con dovizia di documenti, testimonianze, analisi, il rapporto tra Nono e il Cinema è la prosecuzione monografica di un altro libro di Calabretto, «Lo schermo sonoro. La musica per film», risalente al 2010, più o meno la data in cui il musicologo ha cominciato a progettare e raccogliere i materiali per la nuova ricerca. E a memoria, se non tradisce il ricordo, anche il compianto Giovanni Morelli, e Calabretto è stato suo allievo, ha scritto saggi su cinema e musica contemporanei fondamentali. C’è da dire che «a dispetto della vastità del tema, non sono in molti a occuparsi di queste problematiche in Italia». Per gli addetti ai lavori «resta fondamentale e insuperato il libro di Sergio Miceli, «Musica e cinema nella cultura del Novecento», e per chi scrive, espunto delle parti sorpassate dalla storia, l’ancor più lontano, «Colonna Sonora» di Ermanno Comuzio, prima costola del più celebre «Dizionario ragionato dei compositori cinematografici». Comunque Nono direttamente musicò pochi film, soprattutto documentari; che poi la sua musica fu usata in film e servì a registi come Kluge, Solanas e per affettività genitoriali alla figlia pittrice e regista Serena, come lei stessa ha confermato in più occasioni, è un discorso che Calabretto affronta nutrendo la discussione di molti quesiti. E le posizioni critiche e politiche del compositore, e si sa che il discorso di Nono aveva sempre una base teorico militante e civile, sembrano oscillare verso la concezione di una duplice relazione: desiderio di dividere cinefilia, pur essendo un «mangiatore di film» da chi il cinema lo vive, invece, intensamente lavorandoci quotidianamente (anche se giurato di festival mostra negli appunti una conoscenza oltremodo tecnica del film). Ciò gli ha consentito, da un certo punto di vista in poi, di credere in un suono perfettamente inserito in uno spazio, che va aldilà del semplice ascolto: una musica visiva e architettonica che ha antecedenti illustri e che non smette ancora di stupire.