L’Europa unita è un’istituzione come un’altra. Come tale si presta a più utilizzi. Non è un’arena in cui tutti giocano alla pari, ma è un’arma che offre vantaggi ad alcuni a spese d’altri. Non è diversa dalla democrazia, dalla rappresentanza, dai partiti e via di seguito. È un’arma ed è pure un campo di battaglia.

Fu inventata a suo tempo per imbrigliare la Germania, e per contenere la concorrenza comunista. Quella dell’Urss e quella dei partiti comunisti europei, per una stagione non breve – quella in cui era ancora viva la memoria della lotta di liberazione – spesso prossimi ai partiti socialisti.

Fino agli anni 70 l’Europa ha condiviso la storia dei suoi paesi membri. Che è una storia segnata dalla grande crescita, dall’influenza dei grandi partiti popolari e dalla costruzione dello Stato sociale. Questo era il modello sociale europeo, non la beffarda giaculatoria che se ne è fatta da ultimo.

Lo stesso è successo dai primi anni ’80, quando l’Europa ha subito una svolta verso destra analoga a quella dei suoi paesi membri. La minaccia comunista all’interno dei singoli paesi era svanita, i partiti popolari, socialdemocrazia in testa, si andavano logorando, le dirigenze socialdemocratiche erano diventate anch’esse parte dell’establishment, gli americani volevano scaricare sull’Europa una parte sostanziosa dei costi della difesa del loro impero e gli europei si sono docilmente accodati.

Senza girarci intorno. Quella che negli anni ’80 ha preso il via è stata una lotta senza quartiere contro il mondo del lavoro. Se analizziamo gli eventi con un po’ di attenzione, l’Europa con le sue istituzioni è stata una delle armi più micidiali impiegate in questa lotta, che ha avuto come teatro il continente, le società occidentali e l’intero pianeta.
Se l’Europa non ci fosse stata, le cose non sarebbero andate molto diversamente. Le istituzioni europee hanno solo permesso di rendere meno visibile la lotta in corso e la sua posta. Nel nome di una più alta motivazione, l’affratellamento di un continente diviso da secoli di guerre, sono state adottate politiche che nei contesti nazionali avrebbero incontrato almeno qualche resistenza. Perfino l’allargamento a est, finalizzato a stabilizzare uno spazio destabilizzato dal crollo del Muro, è stata un’opportunità per colpire il mondo del lavoro, vuoi importando manodopera a basso costo, vuoi delocalizzando parti sostanziose del ciclo produttivo da quelle parti.
Un ruolo essenziale nell’ultima fase l’ha giocato la Germania, che si è avvalsa dell’Euro, di cui ha fatto una controfigura del marco, per rigerarchizzare spietatamente l’economia continentale: ha avocato il core business industriale e finanziario, meridionalizzando e emarginando i paesi mediterranei. Con un occhio di riguardo, per ora, solo per la Francia.

Le ragioni dell’ondata populista che rischia di travolgere l’Europa stanno tutte qui. Salvo che occorre guardare a quest’ondata in maniera meno grossolana e esclusiva. Perché l’ondata populista non è il solo fenomeno da considerare. Simmetrica ad essa c’è un’ancor più imponente ondata astensionista. Ci si lascia impressionare a sinistra dall’attrazione che i partiti populisti esercitano sul mondo del lavoro. In realtà, i populisti attraggono per lo più l’amplissima fascia di ceti medi pesantemente colpiti anch’essi dalle politiche neoliberali, o quei settori di voto operaio che già in passato votavano per i partiti della destra moderata. Gli elettori di sinistra migranti verso destra sono l’eccezione. Piuttosto, questi elettori, che i partiti delle sinistre “di governo” hanno abbandonato al loro destino, protestano astenendosi, come hanno clamorosamente confermato le ultime elezioni amministrative francesi.
La novità più recente è che la fascia dei ceti medi autonomi che si rivolge ai populisti si sta allargando verso l’altro. Con l’aggiunta dei ceti medi più forti: che finora se l’erano cavata, talvolta perfino prosperando – a spese dei lavoratori dipendenti – e che la crisi ha colpito pesantemente. Illustra bene quest’andamento il successo di Beppe Grillo, che, dopo aver attratto un ben po’ di scontento di sinistra, sta adesso diventando bulimico grazie allo scontento di destra, in funzione del quale ha ricalibrato i suoi discorsi, divenendo il riferimento del sovversivismo reazionario orfano, della Lega e di Berlusconi.

Come neutralizzare l’arma dell’Europa? La risposta non è facile. È più facile immaginare il disastro, anzitutto perché chi ha usato – con questi effetti – l’arma dell’Europa contro il mondo del lavoro non demorde. Non demorde dalle politiche di austerità, dallo smantellamento del welfare e neanche dalla precarizzazione del lavoro. Renzi ha distribuito una mancia elettorale di 80 euro, ma la direzione in cui marcia è palese e Manuel Valls in Francia non è da meno. Non ci vuol molto a capirlo. Populismo e astensionismo hanno qui le loro ragioni. Ma nessuno è più sordo di chi non vuol sentire.

La lista L’Altra Europa è un tentativo di invertire la tendenza. E promuovere un uso alternativo dell’Europa. È partita in ritardo, soffre d’improvvisazione, manca di radicamento sociale, ma ha il pregio non secondario di aver inteso che la difesa del mondo del lavoro e la possibilità di contrastare le politiche neoliberali, insieme all’ondata populista che hanno provocato, dipende da una mobilitazione su scala continentale. Era ora.