Eraclito afferma che per quanto si cerchi di indagare il nous, la mente/pensiero, mai potremo raggiungere la sua profondità. Millenni di riflessione su questo tema e secoli di ricerche anche sperimentali confermano la tesi eraclitea: «La vera natura della mente intesa non come operazione di simboli, ma come esperienza personale che raccoglie in un tutto unico quanto abbiamo vissuto, ancora ci sfugge» ammette Piergiorgio Strata nel suo La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze (Carocci, pp. 161, euro 12).

Strata afferma giustamente che per conoscere il cervello/mente non bastano i metodi oggettivi e quantitativi ma sono necessari anche i dati introspettivi e le informazioni qualitative, in modo da «registrare sia gli eventi fisici che avvengono nel nostro cervello sotto forma di potenziali d’azione, sia la descrizione fornita dalla personale esperienza della persona». Necessità dovuta anche alla differenza tra il fisico e lo psichico, che si può descrivere come una differenza tra «ciò che è presente per tutti nello spazio» – il fisico – e «ciò che è dato immediatamente a uno solo, mentre per tutti gli altri è conclusione analogica» – lo psichico.
A partire da questa metodologia e da tali distinzioni si può giungere ai risultati sui quali la gran parte dei neurofisiologi e dei filosofi della mente ormai concorda: il cervello/mente è una struttura non digitale-computazionale ma analogico-semantica; non statica ma dinamica e capace di continua rimodellazione sia tramite fattori interni sia per l’influsso dell’antroposfera e dell’infosfera nelle quali ciascuno è immerso. La contrapposizione tra l’innato e l’appreso non ha fondamento poiché ciò che davvero conta non è il numero – pur altissimo- di neuroni e di cellule gliali ma la quantità assai più grande (un milione di miliardi) di contatti tra i neuroni, cioè le sinapsi, le quali «si formeranno progressivamente fino al raggiungimento della struttura adulta sotto l’azione dell’esperienza, vale a dire dell’attività evocata da stimoli esterni, tra i quali anche i fattori sociali e culturali». Non sono le proprietà dei neuroni ma è il cervello in quanto «architettura funzionale dinamica» a generare le funzioni superiori degli animali.

Gli argomenti più discussi in questo libro sono le emozioni – necessarie affinché si dia vera razionalità -, la memoria – elemento in continua trasformazione, sensibilissimo alle condizioni ambientali e alle influenze esterne – e il libero arbitrio. Su quest’ultimo problema non c’è accordo tra gli studiosi ma la più parte dei dati e delle analisi conduce a ritenere che il libero arbitrio sia una sostanziale illusione, pur se necessaria.

Le ipotesi oggi più probabili sullo statuto del cervello/mente si pongono all’intersezione di neuroscienze e filosofia; esse consistono in ciò che si può definire o dualismo delle proprietà (Popper) o monismo emergentista (Sperry). La mente potrebbe essere una proprietà del cervello, senza che la si possa identificare (o sostituire) con il cervello, come la gravità è una proprietà della materia, senza che la si possa identificare (o sostituire) con la materia.

Non mancano nel testo alcune ingenuità di carattere scientista, come la difesa della pratica vivisettoria, che per il fatto di essere definita con l’espressione più asettica di «sperimentazione animale» non per questo risulta epistemologicamente più fondata. Gli studi di Roberto Marchesini e di molti altri hanno ormai mostrato la natura non scientifica e le motivazioni in gran parte lobbistico-finanziarie di tali pratiche. Assai più fondate sono le osservazioni sulla struttura semantica e temporale di quello straordinario dispositivo che è il cervello/mente: «Macchina complessa, quella del cervello, con i suoi fenomeni mentali. Osserva oggetti apparentemente incomprensibili, ma li vuole descrivere e interpretare senza arrendersi». Una sete di conoscenza che rende infinita la ricerca del nous su se stesso, come appunto sapeva Eraclito.