La mattina in cui gli attivisti del centro sociale Scup! hanno messo piede nei locali abbandonati della stazione Tuscolana, a Roma, per occuparli, hanno trovato macerie e immondizia ovunque. Una discarica. Dal tetto in amianto aveva piovuto dentro, e che fosse ritrovo per attività di spaccio non era un segreto per nessuno nel quartiere, attività che oggi sembra si sia spostata in altri locali della stazione che si trovano ancora in stato di abbandono. Quelli della stazione Tuscolana di Roma però non sono gli unici edifici di Rfi spa (Rete ferroviaria italiana) lasciati in disuso. Ad oggi le stazioni «impresenziate», prive cioè di personale ma su linee ferroviarie sulle quali il treno continua a passare, sono almeno 1700, più quelle totalmente abbandonate, strutture fantasma rimaste a guardia dei cosiddetti «rami secchi»: chilometri e chilometri di strade ferrate su cui è stato emesso un «eutanasico» decreto di dismissione.

SONO EDIFICI DALLA FISIONOMIA INCONFONDIBILE le stazioni; parte della storia e del patrimonio antropologico italiano, rappresentano configurazioni simboliche utilizzate nella letteratura, nella cinematografia, nell’architettura. Pensare alle stazioni fa venire in mente altri tempi: sono condensazioni di nostalgia. Le stazioni chiuse sono edifici vuoti in città dove le emergenze sociali richiedono tetti in più, poli aggregativi e suppletivi alle strutture istituzionali inadeguate. Paesi isolati, dal trasporto pubblico, dal circuito turistico, abbandonati dalle generazioni lavoratrici, dove le vecchie stazioni potrebbero abbattere i fossati delle distanze, raccontare una storia sempre più lontana, fatta di partenze e ritorni, di corse con le valige, di fratelli, padri e figli in divisa, di deportazioni.

ALCUNE STAZIONI ABBANDONATE SI TROVANO in mezzo a boschi fiabeschi, come la stazione di Fornello, in provincia di Firenze: un edificio ora cieco e muto con porte e finestre murate, nel cuore dell’appennino, non raggiunto dalla strada, solo la ferrovia ancora in uso, la linea faentina; edificio che il Cai (Centro Alpino Italiano) vorrebbe trasformare in punto di accoglienza per escursionisti, con una fermata turistica e magari un treno per lo slow travel tra le vallate del Mugello.

ALTRE STAZIONI SONO INVECE SOTTOTERRA, nel cuore di montagne, come la stazione di «Precedenze», al centro dei 18 chilometri della Grande Galleria dell’appennino che collega Firenze a Bologna. «Precedenze» si raggiunge dal paese soprastante, Ca’ di Landino, comune di Castiglione dei Pepoli, attraverso 1600 scalini, che fino agli anni ’60 erano percorsi dai pendolari. Trent’anni per costruirla, – inaugurata nel ’34 – e con 99 morti per incidenti sul lavoro ed esplosioni di grisù, più un numero imprecisato di malati di silicosi.

OLTRE AI 12 MORTI E 48 FERITI, QUELLI DELL’ITALICUS 1486, sul quale il 4 agosto 1974 esplose una bomba pochi minuti dopo aver lasciato la stazione. Mentre alle 19,08 del 23 dicembre 1984, un altro attentato causò 16 morti e 267 feriti, con una bomba esplosa sul rapido Napoli-Milano 904, al sesto chilometro del tunnel. Da quasi dieci anni si lavora per trasformare «Precedenze» in una stazione turistica tra due città d’arte, Firenze e Bologna. Ridare vita ai tunnel che servivano per trasportare i materiali di costruzione da Ca’di Landino fino al cuore della terra per farvi un ascensore. Ma oggi ancora niente.

CI SONO PERO’ ANCHE STORIE DI RICOSTRUZIONE. In questi anni Rfi sta cercando di dare in comodato d’uso queste stazioni chiuse ad enti e associazioni, e ne sono nati progetti interessanti. Sono infatti 403 le stazioni interessate da contratto di comodato d’uso gratuito, dedicate ad attività di valorizzazione del territorio o attivazione di servizi. In più c’è la vendita di tutto ciò che è dismesso a soggetti privati o pubblici. Il centro sociale Scup! Sport e cultura popolare negli anni, per esempio, ha ridato vita alla struttura abbandonata e al territorio, riqualificando i tre capannoni della stazione, sottoscrivendo una convenzione con Rfi che ha bonificato l’amianto del tetto, e «ricominciando quel sottile lavoro di rete e di riconnessione del tessuto sociale sul territorio»; rete che passa attraverso progetti di palestra popolare, teatro, circo e danza, spazi culturali, laboratori per ragazzi affetti da sindrome di Asperger, e il «mercato ecologico, solidale e popolare».

I DATI DI RFI RELATIVI AL 2017, RACCOLTI NEL VOLUME Stazioni impresenziate. Un riuso sociale del patrimonio ferroviario, indicano 18 stazioni concesse per usi molteplici, 17 per Protezione Civile e assistenza sociale, 13 per cultura e arte, 10 destinate a tutela dei diritti e attività politica, 8 per scopi ricreativi, 7 per ambiente. Una lunga lista che conta usi diversi ed esempi concreti. Uno di questi è Aggregazione, cultura e sport a Monselice (Pd) e Cantù (Co), con, rispettivamente, 500 e 315 volontari; a Onagra, provincia di Verbano-Cusio-Ossola, l’Anpi ha 300 soci, nella stazione di Napoli centrale la Caritas diocesana coinvolge fino a 500 volontari e a Foggia il progetto di aiuto ai senzatetto «i fratelli della stazione» coinvolge 50 persone nell’offerta di servizi giuridici e assistenziali a migranti e persone in difficoltà.

UN’INTESA SOTTOSCRITTA TRA LEGAMBIENTE, Ferrovie dello Stato e Rfi ha dato vita alle Green Station. Ne sono due esempi la stazione di Potenza Superiore, la prima aperta grazie a questo accordo, e la stazione di Pontecagnano (Salerno). Hanno lo scopo di trasformare un «non luogo» in uno spazio di incontro, e ospitano mercati solidali e bio, promuovono scambi tra giovani e mobilità sostenibile. A Ivrea invece la cooperativa Zac! Zone Attive di Cittadinanza, grazie ad un progetto di crowdfunding in collaborazione con Produzioni dal basso di 10 mila e 800 euro, ha ricevuto un finanziamento a fondo perduto da Banca Etica di 3 mila e 100 euro per creare un progetto all’interno della stazione ferroviaria; un centro di aggregazione e autogestione per ragazzi, famiglie, associazioni e gruppi informali.

MOLTI SONO ANCHE I MUSEI NATI ALL’INTERNO di stazioni: il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, di Fondazione FS, ha l’ambizione di diventare la memoria ferroviaria del Paese. È stato inaugurato nel 1989, per i 150 anni delle ferrovie italiane. Il museo sorge lungo i binari della storica linea Napoli-Portici. Ospita 55 mezzi, tra locomotive, carrozze e Littorine, cimeli ferroviari e modellini. Nel 2019 è stato poi avviato il progetto di restauro del Museo ferroviario Trieste Campo Marzio, che sarà gestito direttamente dalla Fondazione Fs, insieme a quello di Pietrarsa. A Canove, in provincia di Vicenza, è nato invece il Museo della Grande Guerra, nella stazione del paesino, sulla linea Rocchette-Asiago. La signora Marisa Reggiani invece, un’anziana maestra in pensione, a Crevalcore (Bo), ha acquistato il Casello 33, sulla tratta Ferrara-Decima, attiva dal 1906 al 1956, dove ha passato gli anni dell’infanzia. Il casello 33 oggi è un museo delle ferrovie e la signora Marisa, 84 anni, ha ancora tanti progetti in mente per migliorarlo. «Quattro anni fa ho acquistato una locomotiva a carbone – spiega Reggiani – sto cercando di fare lavori ma mi servono soldi. In più non so dove trovare altri cimeli da metterci dentro. Chiunque voglia donarmi qualcosa è bene accetto».

NONOSTANTE SIANO STATI FATTI PASSI AVANTI sul riutilizzo di tanti metri quadri in disuso, non tutto il cielo sembra sereno. Ci sono molti aspetti su cui bisognerebbe riflettere. «Il patrimonio di Rfi era pubblico – spiega Alessandra Bonfanti di Legambiente – da quando questa società è diventata una s.p.a. il patrimonio pubblico considerato inutile è stato messo in vendita. Ci sono cataloghi dove vengono offerti pezzo per pezzo le ferrovie, gli edifici e tutto il patrimonio non utilizzato. Un vero e proprio listino prezzi. È inconcepibile che comuni, province e Regioni debbano comprare ciò che dovrebbe essere già pubblico».