Lavoro

Un’altra fumata nera per Teleperformance

Un’altra fumata nera per TeleperformanceLa protesta dei lavoratori di Teleperformance

Call center Al ministero la difficile trattativa

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 11 luglio 2015

Altre 12 ore di trattativa non sono bastate per risolvere la vertenza del call center di Taranto e Roma del colosso francese Teleperformance.

Soltanto a Taranto ci sono in ballo quasi 3mila posti di lavoro (1600 a tempo indeterminato e 800 a progetto).

Dopo l’estenuante trattativa del 25 giugno scorso, quando dopo 14 ore le parti decisero di aggiornarsi e congelare la vertenza, ieri presso il ministero del Lavoro azienda e sindacati di categoria, con la mediazione del governo rappresentato dal sottosegretario Teresa Bellanova, sono tornati a trattare. Sul tavolo la decisione dell’azienda di avviare dal 1 luglio la societarizzazione della società ‘In & out’ per le sedi di Taranto e Roma date in forte perdita (solo a Taranto 8 milioni di euro nel 2014), con il salvataggio della sede di Parco Leonardo a Fiumicino (che occupa 500 dipendenti e l’unica in attivo). Che diventerà una nuova società con la quale l’azienda potrà partecipare ai prossimi bandi avendo i bilanci in attivo, mentre i dipendenti delle due sedi in rosso resteranno nell’attuale società ‘In & out’.

Per i lavoratori di Taranto e Roma infatti, l’azienda propone il rinnovo del contratto siglato nel gennaio del 2013 scaduto lo scorso 30 giugno, che aveva evitato 650 licenziamenti soltanto nel call center tarantino, a fronte di grandi sacrifici da parte dei lavoratori (tra cui il taglio del costo del lavoro del 12%).

Il rinnovo di quel contratto però, per l’azienda deve prevedere ulteriore flessibilità: a cominciare dal passaggio a 20 ore settimanali rispetto alle attuali 33 e 30. Operazione che consentirebbe all’azienda un risparmio del 20%, mentre sui lavoratori peserebbe come un macigno, visto che significherebbe rinunciare al 25% del salario attuale (in 500 hanno già accettato, mentre in 30-40 hanno scelto la mobilità volontaria). Un sacrifico enorme visto che parliamo di famiglie spesso monoreddito, con figli a carico: dove la maggioranza degli addetti sono donne (ben il 75%) che grazie al decreto Damiano che impose nel 2007 la stabilizzazione dei lavoratori, ottennero l’agognato contratto a tempo indeterminato. L’azienda prevede inoltre la non retribuzione dei primi tre giorni di malattia, turni spezzati per part-time e full time, definizione della turnistica ogni 2 settimane, multiperiodale modificabile con preavviso di 48 ore, obbligo di prestare lavoro straordinario anche senza preavviso: condizioni che i sindacati di categoria si sono sin da subito rifiutati di accettare. Visto anche il ‘niet’ espresso dall’azienda nei confronti dell’utilizzo dei contratti di solidarietà caldeggiato dalle organizzazioni sindacali e messo sul tavolo della trattativa da parte del governo. Attraverso l’applicazione di questo nuovo contratto iper flessibile, l’azienda prevede di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2017.

I sindacati però tengono duro, grazie anche all’appoggio dei lavoratori stanchi di accettare ulteriori sacrifici per un’azienda che per anni ha usufruito non poco di aiuti di Stato. Dal milione di euro ricevuto dal MiSE sui 2 di investimento al momento dell’insediamento nel 2004, ai 36 mesi di cig in deroga sino ai fondi europei ottenuti tramite il bando P.O.R. Puglia 2000-2006.

Detto questo, da tempo è chiaro come il mercato dei call center abbia bisogno di un intervento strutturale da parte del governo. Una nuova proposta di legge è stata presentata proprio nei giorni scorsi a Catania dalla prima firmataria, la deputata Luisa Albanella, e da Cesare Damiano, presidente commissione Lavoro della Camera dei deputati, prevede lo stop ai benefici per le aziende che delocalizzano, fine delle gare al massimo ribasso (con l’introduzione del criterio dell’offerta più vantaggiosa e l’esclusione dal criterio di assegnazione del costo del lavoro) e via libera alla continuità occupazionale in caso di cambio d’appalto. Oltre a prevedere che anche le aziende con 15 dipendenti che intendono delocalizzare perderanno gli incentivi (prima la soglia era a 20). Non solo: chi ha beneficiato degli sgravi e poi ha delocalizzato, in deroga alla legge, dovrà restituire quanto ricevuto negli ultimi 5 anni.

Una legge che se approvata potrebbe aiutare e non poco i lavoratori del call center tarantino.

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