Una nuova esplosione, questa volta di fronte agli uffici del Partito Comunista a Taiyuan, nella regione centrale dello Shanxi, scuote la Cina. Un morto e otto feriti, a causa di ordigni che secondo le prime indiscrezioni sarebbero di «fabbricazione casalinga». Quello che conta però è il dato politico: in Cina non si erano mai viste due esplosioni di questo genere a così breve distanza. L’attentato sulla Tiananmen di appena una settimana fa, che per le autorità recherebbe la marca del separatismo indipendentista uighuro, fa il paio con questo nuovo evento che rende ancora più teso il periodo che manca all’apertura del Terzo Plenum del Diciottesimo Comitato Centrale del Partito Comunista, prevista per sabato 9 novembre.
L’esplosione in Shanxi è avvenuta nella mattinata cinese di ieri; secondo la Xinhua, l’agenzia di stato ufficiale cinese, si sarebbe trattato di sette ordigni: sarebbero stati rinvenuti anche cuscinetti metallici e la fabbricazione sarebbe «casalinga». Come quando esplose la vettura sulla Tiananmen, la polizia cinese non ha rilasciato alcuna dichiarazione in grado di fare capire in che direzione si stiano muovendo le indagini, ma di sicuro l’allerta diventa ora altissima, superiore a quanto già si riscontra in occasione di incontri politici rilevanti.
Per ora l’unica connessione di Taiyuan, capoluogo dello Shanxi, con la politica nazionale è data dalla campagna anticorruzione di Xi Jinping. Le autorità cinesi, desiderose di controllare ogni anfratto della vita politica locale alla ricerca dei corrotti, hanno infatto inviato team di ispettori in varie province cinesi, con lo scopo di controllare lo stato dell’arte. A Taiyuan gli ispettori sono arrivati da alcuni giorni. L’attentato – o presunto tale – potrebbe anche essere opera di disperati, anche se il modus operandi, per quanto «amatoriale», come suggerito dalle autorità cinesi, non sembra simile gli atti individuali che talvolta colpiscono i palazzi governativi cinesi (prtagonisti i petizionisti o persone che denunciano ingiustizie subite da autorità). Di certo i due eventi (lo scontro dell’auto nel luogo simbolo di Pechino e questo nuovo avvenimento nello Shanxi) non possono essere considerati estranei al momento politico che vive il paese: un rallentamento economico che sembra sotto controllo, ma all’interno del quale sono annunciate «riforme epocali» da decidersi durante il Plenum. Un passaggio che sancirà anche nuovi equilibri politici all’interno del Partito, determinando il corso cinese per i prossimi dieci anni.
Chi si gioca più di tutti nel Plenum è naturalmente Xi Jinping, il Presidente, che dovrà confermare la nuova via al Sogno Cinese, mettendo in pratica quelle riforme di cui tanto si è parlato, ma che ad ora sono ancora nebulose e poco concretizzate. E proprio nell’attuazione delle Riforme giostrano gli scontri più forti all’interno del Partito Comunista, di cui ci si chiede la natura dopo la feroce stagione contrassegnata dallo scandalo di Bo Xilai. Secondo molti osservatori internazionali, la stretta ideologica di Xi Jinping – che da molti è stata battezzata come «neo maoista» – avrebbe lo scopo di unire intorno a sé anche quelle frange del Partito più refrattarie alle riforme economiche. Di sicuro, inoltre, la campagna anti corruzione del Presidente, non ha lesinato la cattura di «tigri» rilevanti, creando presumibilmente una minoranza ostile a Xi nelle file dei funzionari più in vista. Zhou Yongkang ad esempio, uno dei più potenti politici del vecchio corso, sembra essere ormai nel mirino del team ad hoc voluto da Xi per indagare sui suoi affari, ma è ancora una persona potente nel Partito e in grado di muovere molti uomini.
Infine c’è la trasversale questione legata al cuore delle riforme, ovvero la presunta liberalizzazione dei settori dominati dalle aziende di stato: è lì che si annida il potere dei funzionari del Partito, in grado di dominare con il sistema economico, anche gli equilibri politici, ed è proprio lì che le ricette economiche suggerite al Comitato Centrale sembrano voler andare a colpire. Ce n’è abbastanza per una nuova battaglia politica, che potrebbe anche muoversi a colpi di piccoli attentati, più destabilizzanti che micidiali.