Baghdad ha un nuovo sindaco. La novità? È una donna. Zekra Alwach è la prima donna ad essere nominata sindaco di un comune iracheno, la prima a rivestire tale carica in una grande città, ma anche tra le prime ad occupare una simile poltrona in una grande città della Lega Araba. Una buona notizia in un mare di cattive notizie: l’Iraq sta vivendo uno dei periodi più bui della sua storia. Culla della civiltà mediterranea, disteso tra i generosi Tigri e Eufrate, terra di filosofi, scrittori, scienziati e musicisti, l’Iraq di oggi è per chi vive in Occidente solo la terra della violenza e dell’assenza di civiltà.

Schiacciato da una corruzione imperante, tra le più alte al mondo, dalla disgregazione repentina delle istituzioni, da otto anni di invasione statunitense che ha annullato la struttura militare e quella governativa, dalla mancata ricostruzione nel dopo-guerra, dalla radicata divisione settaria, oggi Baghdad punta su una donna.

Nominata dal premier
A nominarla sindaco non sono stati i cittadini della capitale, ma il premier al-Abadi, fortunato vincitore della poltrona che fu di Nouri al-Maliki, ex figlioccio Usa e tra i principali artefici della frammentazione apparentemente irreversibile del paese. Al-Abadi, che da mesi punta sulla riconciliazione nazionale per frenare la brutale avanzata dello Stato Islamico, ha optato per una donna per risollevare le sorti della capitale.

Nonostante gli sforzi, infatti, a oggi di cambiamenti positivi se ne sono visti pochi: a Baghdad scorre ogni settimana il sangue di civili uccisi da attentati terroristici, mentre fuori risuonano le minacce di conquista del califfato. Che sia una donna la soluzione?

Zekra Alwach è stata nominata sindaco sabato 21 febbraio. Ingegnere civile e direttore generale del Ministero dell’Educazione Superiore, prende il posto che fu di Naim Aboub, primo cittadino non troppo amato né dall’opinione pubblica né dalla stampa locale: «Il primo ministro ha sostituito il sindaco Aboub con la dottoressa Alwach», ha commentato il portavoce governativo Rafed Juburi, non mancando di sottolineare che l’allontanamento di Aboub non va letto come una punizione. Difficile da credere vista la campagna messa in piedi dai media che accusavano l’ex sindaco di incompetenza.

La capitale ferita
A Zekra spetterà l’arduo compito di prendere sulle spalle una Baghdad ferita e divisa. Una vittoria dal forte valore simbolico per le organizzazioni irachena che difendono i diritti delle donne: l’Iraq non è certo un paese che spicca per la tutela delle pari opportunità.

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Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato lo scorso anno, un quarto delle donne irachene con più di 12 anni è analfabeta, mentre solo il 14% ha accesso al mercato del lavoro. Eppure una simile esclusione delle donne dal mondo politico, sociale ed economico iracheno non è mai stata così pervasiva.

Le donne sotto Saddam
Con Saddam Hussein le condizioni femminili erano decisamente migliori e la guerra di George Bush figlio, propagandata come missione per portare la democrazia ad un popolo incivile, si è presto rivelata per quel che era: una crociata a fini politici ed economici.

A parlare sono i numeri, le analisi storiche del post Saddam e dell’Iraq del partito Baath. Il movimento, nato in Siria nel 1947, scisso nel 1966 tra la madre patria e l’Iraq, fu fondato su basi laiche e socialiste. Nella seconda metà del secolo scorso, già prima della presa del potere con un colpo di mano da parte di Saddam Hussein, «le donne irachene godevano di maggiori diritti rispetto al resto del Medio Oriente, spiega un rapporto di Human Rights Watch pubblicato alla fine del 2003, a dieci mesi dall’inizio dell’invasione Usa.

La costituzione irachena [emanata nel 1970, ndr] garantiva formalmente uguali diritti a uomini e donne mentre altre leggi assicuravano il diritto di voto, l’educazione scolastica, la partecipazione politica e la proprietà privata. Con lo scoppio della prima guerra del Golfo, nel 1991, la posizione delle donne deteriorò rapidamente perché furono sproporzionatamente danneggiate dalle conseguenze economiche delle sanzioni Onu e dal mancato accesso a cibo, assistenza sanitaria e educazione. Il governo iracheno all’epoca modificò le leggi di modo da garantire il lavoro agli uomini».

La guerra stravolse il volto del paese: dal 1968, quando il partito Baath divenne governo del paese, per consolidare il proprio potere politico e sociale e rilanciare la crescita economica, le donne furono inserite in un più vasto piano produttivo e furono promulgate una serie di leggi per migliorare le condizioni femminili sia nel settore pubblico che privato. Per sostenere tali sforzi d’inclusione, Baghdad fondò la Federazione generale delle donne irachene, con il compito di gestire oltre 250 centri in piccole e grandi comunità che offrivano alle donne sostegno nella ricerca di un’occupazione, training, educazione e programmi sociali.

La Federazione divenne in breve il trampolino di lancio di una radicata azione di lobby dentro le istituzioni per promuovere riforme a favore delle donne, seppur parte dell’opinione pubblica femminile la giudicasse braccio del Baath e quindi non rappresentativa delle reali aspirazioni femminili.

Al lavoro si affiancava l’educazione: se le donne della media e alta borghesia irachena frequentavano l’università fin dagli anni ’20, la stragrande maggioranza delle giovani irachene, residenti in aree rurali o più povere, non ebbe accesso al sistema educativo fino agli anni ’70. Nel 1979 il governo lanciò un programma per lo sradicamento dell’analfabetismo e impose a tutti gli analfabeti, uomini e donne tra i 15 e i 45 anni, di frequentare classi e scuole , molte delle quali gestite dalla Federazione delle donne.

In breve il gap tra uomini e donne si ridusse, aprendo la strada a maggiori possibilità di impiego, una via già aperta dal settore pubblico che a partire dal 1976 assumeva donne nei propri uffici: secondo i dati dell’Ufficio Centrale di Statistica già nel 1976 erano donne il 38% degli insegnanti, il 31% dei medici, il 25% dei tecnici di laboratorio.

1991, la guerra del Golfo
Infine, sul piano socio-culturale, il partito Baath – riflettendo la propria aspirazione a modernizzare la società irachena – approvò una serie di riforme su divorzio, custodia dei figli, eredità e poligamia. Una legislazione avanzata che cominciò a scricchiolare con la guerra del Golfo del 1991, le sanzioni Onu e quell’embargo che ha distrutto le capacità produttive e, spesso, la sopravvivenza stessa della popolazione civile. Difficile lavorare ai diritti delle donne in un paese in cui mancava tutto: ambulanze, alimenti per l’infanzia, gomme da cancellare, colla per libri di testo, incubatrici, cateteri per neonati, medicinali per l’angina, garze, siringhe, farina, carta, tende per ossigeno, libri scolastici. E l’elenco potrebbe continuare.

L’obiettivo è chiaro: non si colpiva solo la capacità produttiva del paese, ma la vita stessa dei civili. Quell’embargo provocò circa un milione e mezzo di morti, per mancanza di cibo e medicine. Sepolti sotto il peso delle sanzioni Onu orchestrate dagli Usa sono finiti anche i diritti delle donne: la miseria costrinse molte famiglie a scegliere quale figlio mandare a scuola e molte ragazze tornarono tra le mura domestiche: secondo l’Unesco, se dopo dieci anni dal lancio della campagna di alfabetizzazione del 1979 il 75% delle donne irachene sapeva leggere e scrivere, alla fine del 2000 tale percentuale era crollata al 25%. Intanto, gli uffici pubblici sostituivano le donne impiegate con gli uomini.

«Parlando con le donne in tutto il paese e le ong locali, siamo giunti a questo risultato: le donne sono molto meno rispettate oggi di quanto lo fossero sotto il precedente regime, le loro libertà sono soffocate – diceva pochi anni fa la presidente della Woman Freedom Organization, Senar Muhammad, intervistata dall’agenzia stampa dell’Onu Irin – i diritti delle donne sotto Saddam erano garantiti dalla costituzione, ma ancora più importante, erano rispettati: le donne andavano a scuola, all’università, al lavoro, occupavano posizioni governative e partecipavano alla vita economica. Oggi se si dice all’attuale governo di inserire donne nell’organico, ti ridono in faccia».