Sono persuasa che abbia grande significato politico quanto accade intorno alle accuse di violenza e molestie che molte donne rivolgono pubblicamente ai potenti del cinema (ma non solo), in Italia e in altri paesi occidentali.

Alla vigilia del 25 novembre mi stupisce il silenzio della politica sull’argomento di cui invece tutta l’opinione pubblica discute da oltre un mese. Il sistema di abusi denunciato da un numero crescente di donne, infatti, non chiama in causa i singoli o soltanto il cinema. Vediamo anzi una minima parte di ciò che accade, e ancora accadrà, fino a quando i dati sul gender gap registreranno iniquità fra i generi in termini di salario, occupazione, potere economico e politico. Si tratta di un’architrave del nostro mondo, con enormi costi umani, economici, giudiziari e di salute.

In Italia rifiutiamo di riconoscere la natura sistemica del fenomeno e quindi non diamo credito alle vittime e anzi le denigriamo. Se infatti tutti vanno considerati innocenti fino a prova contraria, a me sembra altrettanto ovvio che un ragguardevole numero di testimonianze tutte uguali dovrebbero indurci non già a condannare i singoli senza processo, bensì ad ascoltare con rispetto e sgomento le voci che si levano contro la violenza e l’ingiustizia.

Dove questa ondata di ribellione femminile è nata, ovvero negli Stati uniti, il sistema di potere è messo in causa, giornali e opinione pubblica si chiedono quanti predatori ci sono negli ambienti di lavoro, come fermarli, perché hanno potuto agire impunemente. Le vittime non vengono derise, insultate, sospettate di avere secondi fini – come se denunciare abuso e violenza sessuale avesse mai recato vantaggi alla donna che trova la forza di farlo.

In Italia, al contrario, un regista affermato e famoso come Neri Parenti può pronunciare nei confronti delle testimoni parole che suonano come una minaccia: «Non le prenderò mai a lavorare nei miei film». La dichiarazione di Neri Parenti e le reazioni (o l’assenza di reazioni) successive spiegano alla perfezione perché le ragazze non hanno denunciato prima: chi lo fa non lavora più, si rovina la carriera. Poco importa che siano già state rovinate le vite e le carriere delle sconosciute che trovano la forza di parlare ora, perché sentono che solo ora c’è una possibilità di essere credute. Eppure la loro testimonianza viene liquidata con l’argomento che avrebbero dovuto reagire subito, e non lo hanno fatto perché in realtà ci stavano e volevano un vantaggio. Eppure, ammesso che qualcuna non sia riuscita a sottrarsi perché era paralizzata dalla paura, oppure si sia sottomessa, costei poteva scegliere solo fra due violenze, sottomettersi oppure essere espulsa dal suo ambiente di lavoro. Non poteva esercitare né libertà né autodeterminazione.

E’ giusto richiamarsi al garantismo formale, come molti fanno in questi giorni, e chi viene accusato deve querelare chi lo ha offeso, se ritiene che sia stato detto il falso, usando gli strumenti di garanzia di cui dispone per legge. Ma prendiamo in considerazione anche il garantismo sostanziale, riconoscendo l’importanza di uno spazio in cui molte donne possono raccontare quello che hanno subito, senza essere messe in ridicolo o minacciate.

In Italia a denunciare, secondo l’Istat, è appena l’8 per cento del totale di chi subisce violenza. La stragrande maggioranza delle vittime non si sente libera di usare il suo strumento di garanzia, non si fida della legge, delle forze dell’ordine, dei tribunali. L’esperienza, quella delle altre e in alcuni casi quella fatta di persona, insegnano che può essere un inferno, e forse non ci sarebbe giustizia.

Provare un reato il quale, per ovvie ragioni, si è consumato fra lei e il violento e senza testimoni, è difficile, a meno di non essere stata picchiata brutalmente. Per questo assume un grande valore raccontare pubblicamente, insieme alle altre, con la speranza che il sistema che conduce all’abuso e non lo punisce sia messo in causa, e altre non debbano subire. Proprio su questo punto, allora, la politica, le istituzioni, tutta l’opinione pubblica sono chiamate riflettere, fare autocritica, suggerire e prendere provvedimenti efficaci.