La mattina del 6 aprile è morta all’ospedale San Carlo di Milano, dove era stata ricoverata due giorni prima per un ictus, Veronica Kleiber, figlia e sorella maggiore di due giganti assoluti della musica del Novecento, Erich e Carlos.

Già questo semplice dato anagrafico dice le difficoltà che Veronica ha dovuto superare per affermare una propria autonomia esistenziale e trovarsi uno spazio nel mondo. C’è riuscita, con intelligenza e determinazione rare, quelle che illustrano la superiorità del genere femminile in un mondo ancora al maschile.

Rifugiatasi, anche un po’ rocambolescamente, dalla Germania nazista in Argentina con la famiglia (il padre fu direttore al Colon di Buenos Aires) ne dovette scappare al tempo dei colonnelli e giunse in Italia col compagno, il grande fisico antifascista Andrea Levialdi, «il mio Andrea», come diceva con tenerezza: Sicilia, Parma, Cuba e, dopo la morte prematura di Andrea, Milano.

Qui collaborò a lungo con Giulio Maccacaro e la rivista Sapere, ma anche con case editrici, in particolare l’Adelphi, fin dai tempi di Bobi Bazlen, come lettrice o esperta di lingue (era di vastissima cultura e compiutamente poliglotta).

Amica di grandi direttori, da Abbado a Muti, di cantanti e solisti, da Mirella Freni a Pollini, di registi, di un’altra grande donna del mondo musicale, Nuria Schönberg Nono, dotata di una memoria di ferro, era una grande narratrice della musica contemporanea. Ogni volta che si andava a trovarla alla Casa Verdi, di cui era ospite negli ultimi anni, era una ghirlanda di aneddoti, di temi canticchiati, di acutissime osservazioni critiche.

Dall’estero venivano a intervistarla, da più parti, i nostri quotidiani l’hanno sempre ignorata.

Mi sembra giusto ricordarla su queste pagine anche perché è sempre stata una «compagna» (si autodefiniva «una bolscevica americana»).

Il manifesto era il suo quotidiano, il regalo più gradito che si potesse farle erano i coupon per ritirare il giornale in edicola; quando non poteva più uscire incaricava sempre qualcuno di procurarle il giornale. E poi Radio Popolare, Emergency, il Wwf, Amnesty, il periodico dei barboni milanesi… e, nei limiti delle sue possibilità, anche fisiche, aiutava tutto ciò che poteva contribuire a lenire un disagio o a favorire un riscatto.

Amava la bellezza e l’indipendenza dei gatti. Negli ultimi tempi (e in questo mi ricordava certi scritti di Anna Maria Ortese) pensava che sarebbe stato un bene che l’umanità compisse fino in fondo la sua autodistruzione per lasciare la terra libera di rigenerarsi senza più sfruttamento e scempio di piante e animali.

Lettera del 12 aprile 2017

Cari amici,

Scrivo a proposito dell’articolo che Gianandrea Piccioli ha dedicato a Veronica Kleiber il 7 aprile su queste pagine. Si tratta di un bellissimo ricordo, che tuttavia contiene un’imprecisione: si legge infatti che il regalo più gradito che si potesse fare a Veronica fosse quello di portarle dei “ticket” (coupon, in realtà) del manifesto, ma in realtà Veronica al manifesto era abbonata, e ne sono al corrente perché negli ultimi tre anni sono stato io stesso a ricevere da lei la quota per l’abbonamento e a recapitarvela, come immagino potrete ricostruire con facilità dai nostri scambi di e-mail.

Questo a ulteriore testimonianza della stima che Veronica aveva per il vostro lavoro e del sostegno che teneva a non farvi mancare.

Grazie e un saluto,

Andrea Ottonello