Il progetto, l’anno scorso, gli era piaciuto molto: una celebrazione incrociata dei due minieroi-antieroi della cultura francese, entrambi «nati» nel 1959, 60 anni prima. Cioè: «Anno 1959 d.C., il primo Astérix di René Goscinny e Albert Uderzo appare il 29 ottobre nel primo numero della rivista Pilote. Nel giugno precedente, al Festival di Cannes esordio trionfale di François Truffaut/Jean-Pierre Léaud con Les 400 coups». A distanza di pochi mesi è l’inizio della storia parallela di Nouvelle Vague e Nouvelle Gaule: 400 coups tra fous Romains e Pierrot le fou, La mia droga si chiama Julie e pozioni magiche, giochi di parole (pure di Godard) e sibilline citazioni in latino. «Léaud, l’Astérix della Nouvelle Vague ? E Astérix, ‘Les 400 X’ de la Nouvelle Gaule»?, una bella risata aveva accompagnato la risposta di Uderzo che ancora, a 92 anni, non smetteva d’immaginare continue varianti per la sua creazione, star nell’autunno del 2019 di due nuovi festeggiamenti: a fumetti – il 38° album – e nel cartoon, Le secret de la potion magique di Louis Clichy.

In quella che sarebbe stata l’ultima intervista, Uderzo, scomparso il 24 marzo, un mese prima dei 93 anni (il prossimo 25 aprile), era gioviale e in gran forma, se pure un po’ stanco. Ultimo di tanti incontri, iniziati un quarto di secolo fa, prima del cine-debutto e continuati tra videointerviste – Astérix, mon double, del 2007, proiettato al Sotto18 – e visite alla sua villa-fortino, a Neully-sur-Seine: vetrate mobili anti-furto elettrocomandate, saloni e ascensore popolati di originali e gadget giganti e omaggi di altre super-matite, come il dipinto di Carl Barks che fa genuflettere Asterix davanti a un Paperon de’ Paperoni tutto d’oro.

Intanto, negli anni, la fiumana di tirature, tavole (40mila), album (10 da solo, dopo la morte nel ’77 di Goscinny): in 111 lingue e dialetti, 380 milioni di copie vendute dal ’59 a oggi. Il fumetto europeo più diffuso al mondo, anche da quando, 7 anni fa, Uderzo ha passato la mano allo sceneggiatore Jean-Yves Ferri e al disegnatore Didier Conrad, autori degli ultimi due album, 5 milioni di copie ciascuno, Il papiro di Cesare e La fille de Vercingétorix, 38° ‘y final’ («dopo la mia morte – ripeteva Uderzo – mai più nuovi Astérix a fumetti»).

Senza mai astrarsi dalla realtà francese: all’indomani dell’attentato a Charlie Hebdo, aveva ripreso la matita per ricordare l’amico Cabu, con Astérix che dichiara «Anch’io sono Charlie» e con un pugno spedisce fuori pagina il nemico, di cui restano a terra non i coturni ma le babbucce.

Che si prova a trascorrere un’intera esistenza in compagnia d’un personaggio immaginario?
Ma le creature di fantasia sono come noi e hanno il loro caratterino. Conosco bene Asterix, quasi quanto lui conosce me. Non è un’esercitazione comica, un supereroe di carta. È «vivo»!

Per lei in che consiste soprattutto l’attualità dei personaggi creati nel ’59 con Goscinny?
La Storia con la maiuscola nella quale agisce Astérix viene ogni volta rimpicciolita a storia quotidiana, a cronaca spicciola. Lui e Obelix si preoccupano solo di difendere il loro villaggio, non l’intera Gallia. A loro non passerebbe mai per la testa di sferrare un attacco alla Roma di Cesare. Non sono nazionalisti e neanche patriottici. Sono solo spinti dall’istinto ribelle verso ogni forma di sopruso. Asterix e Obelix interpretano la nostra costante refrattarietà alle imposizioni, che si tratti di Stato o di tasse. Volendo politicizzare, rappresentano la resistenza d’una minoranza contro l’imperialismo. Ma nella sostanza, ci sono solidali più nelle frustrazioni domestiche che negli affari internazionali.

Per questo può riuscire facile aggiornare temi e tic, come avviene in uno dei 10 cartoons, Asterix e i Vichinghi, tratto dall’album di 53 anni fa?
I registi Stefan Fjeldmark e Jesper Moller han trasferito i ritmi rock’n’roll anni 60 a quelli rap di oggi, aggiungendo pepe nel rapporto tra giovani e adulti. Per i miei fumetti questo film è stato una pozione di nuova giovinezza.

Lei ha fama di autore molto severo, pronto a correggere ogni minimo particolare.
È per il bene del personaggio. E, anche, del lettore. Ogni autore ha il diritto morale di vedere rispettati carattere e fisionomia delle sue creazioni. La mancanza di fedeltà nuoce alla familiarità stabilita tra i personaggi e il loro pubblico. Per questo, non ho mai ceduto alle richieste di adattare Asterix a serie tv. La tv non ha mostrato di aver mezzi tecnici e cura sufficienti per garantire una traduzione efficace dei fumetti. Tintin o Lucky Luke, che ci hanno provato, hanno perso credibilità.

Soddisfatto delle 4 versioni in carne e ‘ox’ dei suoi eroi a fumetti?
Il primo film, Asterix contro Cesare, mi ha fatto scoprire un interprete straordinario, Roberto Benigni, adorabile e pirotecnico. È un attore dallo spirito tipicamente italiano, che sa mescolare in modo sublime il comico e il tragico. Rari e fortunati gli attori di questa stoffa, come Gérard Depardieu, che sa alternare Sant’Agostino in teatro alla commedia ridanciana: è stato, ancora una volta, Obelix nel terzo film dal vero, uscito nel 2008, Asterix alle Olimpiadi.

Dove Giulio Cesare è interpretato da Alain Delon…

Ancora non so capacitarmi che abbia accettato. Da tempo non girava più film, aveva persino rifiutato d’essere incoronato da Sofia Coppola nel Marie-Antoinette, trovando inconcepibile che un’americana racconti la storia di Francia. Il bello è che, in Astérix, Goscinny e io avevamo preso Delon a modello: il nostro Giulio Cesare è la sua caricatura, anche per il vezzo di riferirsi a sé stesso, come Cesare, in terza persona. Lui l’ha capito, divertendosi all’idea di prendersi in giro, consapevole, forse, che così avrebbe consacrato ancora una volta se stesso.

Rispetto al successivo «Asterix e Cleopatra» di Alain Chabat, forse il migliore, con Monica Bellucci e al quarto, con Catherine Deneuve ’Queen Elisabeth’, «Asterix contro Cesare», piccolo formicaio allegramente imbizzarrito contro il pachiderma invasore, è il più ‘politico’?
In quella micro-comunità del 50 a.C. (quando, storicamente, Roma piega l’ultima resistenza, quella di Vercingetorige), possiamo gettare oggi un doppio sguardo retrospettivo: ideologico e cinematografico. Da una parte, il villaggetto di Asterix è un primo focolaio vietnamita anti-imperialista. Dall’altra, nell’uso giocherellone della storia e del mito, anticipa i fuochi d’artificio dell’antichità che la Disney ha fatto esplodere in film come Hercules.

Asterix riletto dal cinema è un Ercolino della Gallia con in mente una sola fatica: la resistenza allo strapotere dell’Impero romano, gli Usa di ieri?
(Risata) E pensare che fin da bambino, quando passavo ore e ore a far disegni sul balcone di casa, il mio sogno era di diventare il Walt Disney francese…

Dopo la scomparsa di Goscinny, lei ha lavorato da solo. Mai tentato d’industrializzare Asterix?
I disegnatori sono animali solitari. Certo, avrei potuto trasformare Asterix in una catena di montaggio, farne un Topolino francese. Ma io mi son sempre divertito, finché ho potuto, a disegnare ore e ore, impiegando quasi un anno per ogni nuovo album. Asterix s’è però costruito da solo la sua industria: il primo album, nel ’61, aveva avuto una tiratura di 6mila copie. Oggi si parte da 5-8 milioni.

Una vita, la sua, di soli fumetti?
No. Scrivo: le mie memorie. A 80 anni, ero arrivato all’anno 1968, c’era ancora Goscinny. Il libro è distinto in un prima e dopo Goscinny. Con lui avevo inventato un mestiere. Fino agli anni 50, il fumetto era guardato come un sottoprodotto, al massimo roba per bambini. Mio padre, d’origine veneta, non riusciva a capire come avrei potuto guadagnare un solo franco disegnando vignette. La mia vita, invece, è costruita sulle vignette: è la loro rivincita.