E’ lodevole la tempestività editoriale quando (qualunque sia il campo del sapere) non è l’effetto di una scontata e becera strategia commerciale di sfruttare a caldo la morte di un personaggio. E’ il caso della monografia Il cinema di Claudio Caligari (Edizioni Il Foglio, pp. 72, euro 10) a cura di Fabio Zanello per la collana Cinema, uscita pochi mesi dopo la prematura scomparsa del regista nel maggio del 2015 a 67 anni. Solo tre film girati dall’autore piemontese in 32 anni ma si tratta di opere che hanno consegnato Caligari alla storia del nostro cinema per come hanno scosso il nostro asfittico panorama cinematografico, hanno destabilizzato la produzione nazionale più paludata e commerciale ma anche quella impegnata d’autore, soprattutto per come hanno raccontato la droga, la violenza, la condizione sottoproletaria, la disperazione degli emarginati. Amore tossico (1983), L’ odore della notte (1998), Non essere cattivo (2015), presentato postumo alla Mostra del Cinema dello scorso anno, sono tre schegge artistico-esistenziali di un regista e sceneggiatore (auto)emarginato, di intellettuale postpasoliniano e non-riconciliato. Il libro ripercorre la vicenda umana e cinematografica di Caligari con saggi dello stesso Zanello, Aurora Auteri, Enrico Lancia, Davide Stanzione, Gordiano Lupi. Caligari ha inseguito nei suoi trentanove anni di carriera la contaminazione fra il documentarismo, il genere poliziesco, la militanza politica e lo spaccato antropologico, senza mai salire in cattedra, ma perseguendo una visione del mondo lucida e spietata, che ha sempre piazzato al centro della messinscena il malessere giovanile del sottoproletariato e dei marginali. Scrive Zanello: “Caligari è andato orgogliosamente controcorrente tramite una poetica neorealistica, cruda e romantica, senza melensaggini, dove prendeva posizione contro il malessere giovanile, le istituzioni e le convenzioni della nostra società, secondo un nichilismo più sentito che artefatto”.