Alcuni anni fa, parlando di Tolstoj, Carlo Ginzburg disse che la sfida dei romanzieri agli storici consiste nella creazione di una storiografia nella quale il mondo umano abbia un ruolo maggiore di quello tramandato dagli storici del passato. Guerra e pace insegna, secondo Ginzburg, che il destino di una persona qualsiasi può intrecciarsi con quello di un personaggio storico; e dimostra, in modo sublime, quanto la memorialistica possa essere utile alla Storia, sotto il profilo dell’autenticità e della moralità. Queste parole tornano alla mente ora, leggendo La verità del momento (Mondadori, pp. 1.052, euro 35), che raccoglie tutti i reportage scritti da Bernardo Valli nella sua vita di cronista (per «Il Giorno», il «Corriere della Sera», «La Stampa» e «la Repubblica», per cui scrive tuttora), dal 1956 ad oggi. Valli, infatti, sembra raccogliere, nella propria veste, la medesima sfida; ed essendo un cronista di valore, i suoi reportage – raccolti in successione cronologica e divisi per aree geografiche – hanno a loro volta molto in comune con la letteratura, che spesso viene anche esplicitamente evocata.
Lo stile, in primo luogo: le corrispondenze di Valli hanno in sé tono e respiro letterari. Un tono e uno stile sempre al servizio della cronaca, la quale rimane fedele alla propria missione, che è quella di raccontare ciò che accade. E non esiste, o quasi, evento importante degli ultimi sessant’anni che Valli non abbia raccontato: le guerre di decolonizzazione, le rivoluzioni, i conflitti etnici e religiosi, i passaggi epocali. Dall’Italia all’Europa, dall’Africa all’Asia, alle Americhe.
La passione, in secondo luogo: Valli partecipa agli eventi che racconta mettendosi personalmente in gioco. Non rimane dietro la scena, ma vi entra: e non solo nel senso che dove c’è una guerra non ne vengono taciuti gli aspetti terribili, ma anche nel senso della partecipazione emotiva ai fatti, se non dell’immedesimazione. E basterebbe leggere, ad esempio, le cronache sull’assedio di Sarajevo, negli anni Novanta.

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Infine, Bernardo Valli sa bene, e lo dichiara, che la cronaca è solo un «lampo» e che quella del cronista è solo una «verità del momento», e come tale «effimera, variabile»: lo sguardo lungo dello storico potrà smentirla, un giorno. Ma la comprensione della Storia, che nelle sue strutture profonde compete appunto agli storici, non può comunque prescindere dall’osservazione della vita quotidiana, che solo la cronaca può restituire e tramandare. E qui risiede il senso della sfida agli storici che i reportage di Valli sembrano contenere: in un perfetto equilibrio fra cose piccole e cose grandi. Il giornalista italiano non manca di interrogarsi sul senso di queste ultime, ma sempre e solo a partire dal racconto delle prime: dalla descrizione cioè dei luoghi e delle persone in carne e ossa, dei loro volti, dei loro gesti, dei loro punti di vista.