Il 43% delle spiagge italiane è in erosione e molti sono i tratti che non arretrano perché protetti da opere di difesa rigide che hanno un notevole impatto sul paesaggio, la qualità delle acque e la sicurezza dei bagnanti; inoltre, spesso innescano l’erosione nei settori costieri adiacenti. È un fenomeno che trova le sue cause nella riduzione dell’input sedimentario da parte dei fiumi causato dall’abbandono dell’agricoltura, la costruzione di dighe, la stabilizzazione dei versanti e l’estrazione di inerti dagli alvei fluviali.

In alcuni casi, il flusso sedimentario lungo la costa è interrotto da opere portuali e moli guardiani delle foci fluviali. L’innalzamento del livello del mare, fino a oggi un fattore marginale, in futuro sarà forse il fattore dominante. Effetto delle variazioni climatiche in atto, sarà accompagnato anche da un incremento della frequenza e dell’energia degli eventi estremi.

La difesa dei litorali ha visto una nuova possibilità nell’alimentazione artificiale, con sedimenti, prima prelevati dalle pianure alluvionali, poi dai fondali marini, in ogni caso risorse non rinnovabili, il cui impatto ambientale non è stato completamente valutato. Oltre alla Difesa, altre strategie sono possibili, come l’Adattamento e l’Arretramento strategico. Il primo prevede la modifica delle strutture antropiche, per garantirne la funzionalità anche con un livello del mare più alto e una maggiore energia delle mareggiate (forse l’unica strada da intraprendere in molti centri urbani).

Il secondo contempla la delocalizzazione delle strutture in aree che, negli scenari di riferimento, non verranno raggiunte dal mare e l’acquisizione da parte dello Stato dei terreni che non saranno abbandonati ma dovranno trovare una diversa funzione, sia come zone buffer per gli eventi estremi sia come aree restituite all’uso pubblico.

Questa strategia è ritenuta quella più vantaggiosa dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Al contrario, ogni intervento di difesa invita all’investimento sulle zone retrostanti, rendendo più difficile e oneroso un futuro adattamento o arretramento. In Italia, oltre che colorare di blu le zone che si trovano sotto a una certa quota, raggiunta dal livello del mare in determinati scenari, la discussione se difendere, adattare o arretrare è confinata a livello accademico e decontestualizzata.

Le ipotesi di opportunità dell’arretramento sono state ignorate dalla ‘politica’ più incline alla logica della difesa ad oltranza, sia per lo scarso (nullo) ritorno politico di certe scelte, che per la mancanza di proposte alternative che appassionino i portatori d’interesse. Invece che grandi progetti di difesa, con scogliere e milioni di metri cubi di sabbia, piccoli piani di ridefinizione delle funzioni del territorio potrebbero garantire una identica qualità della vita agli abitanti e alle generazioni future.

In un Paese in cui il turismo balneare è un settore trainante dell’economia, le scelte dovrebbero avere uno sguardo rivolto al futuro più lontano e alla grande quantità di persone che indirettamente o indirettamente lavorano in questo ambito (non solo i concessionari). Perciò bisogna scegliere cosa è possibile mantenere, in un contesto di qualità e sostenibilità, e cosa è più opportuno ‘perdere’, per gestire le trasformazioni che gli scenari futuri imporranno, garantendo la qualità ambientale e la trasformazione dell’economia locale. Arretramento strategico non vorrà dire abbandono; anzi, queste zone richiederanno certamente maggiori sforzi di pianificazione e di progettazione e d’investimento. L’investimento che verrà fatto oggi si tradurrà in minori costi economici, sociali ed ambientali per le generazioni future.