Sarà una Via crucis contraddistinta dai temi sociali quella che, come da tradizione, si svolgerà questa sera al Colosseo. Papa Francesco, che presiederà la cerimonia, ha infatti deciso di affidare la redazione dei testi di riflessione per le 14 «stazioni» della Via crucis – immediatamente pubblicate dalla Lev – a monsignor Giancarlo Bregantini, un passato da prete operaio, poi per 13 anni (dal 1994 al 2007) vescovo anti ‘ndrangheta a Locri, attualmente alla guida della diocesi di Campobasso e presidente della Commissione della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. E Bregantini ha scelto di rileggere il racconto della morte di Gesù – questo rievoca la Via crucis dei cattolici – attraverso la cronaca e l’attualità: dalle ingiustizie sociali prodotte dalla crisi economica e dal liberismo selvaggio all’immigrazione, dal dramma della Terra dei fuochi alle ingiustizie della detenzione in carcere.
Le croci che oggi pesano «sulle spalle dei lavoratori» si chiamano «precarietà, disoccupazione, licenziamenti, un denaro che governa invece di servire, speculazione finanziaria, suicidi degli imprenditori, corruzione, usura», scrive monsignor Bregantini, che incoraggia alla «lotta per il lavoro» e alla partecipazione politica, «cercando di uscire insieme dai problemi». Una citazione di don Lorenzo Milani quest’ultima – «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia», scriveva il priore di Barbiana – un cui testo, Esperienze pastorali, che pochi mesi dopo la sua pubblicazione nel 1958 venne giudicato «inopportuno» e «ritirato dal commercio» per ordine del Sant’Uffizio allora guidato dall’ultraconservatore cardonale Ottaviani, è stato riabilitato proprio in questi giorni dalla Congregazione per la dottrina della fede.
Le «disumane contraddizioni» del carcere e le condizioni di vita dei detenuti gli altri temi forti delle riflessioni di Bregantini. Il carcere è «dimenticato» e «ripudiato dalla società civile», scrive il vescovo, che denuncia «le assurdità della burocrazia, le lentezze della giustizia» e il «sovraffollamento» che si configura come una vera e propria «doppia pena», «un dolore aggravato, un’ingiusta oppressione, che consuma la carne e le ossa». E in queste condizioni «alcuni, troppi!, non ce la fanno». Evidente il riferimento ai suicidi dei detenuti in carcere: 42 nel corso del 2013 (ma 1.067 tentati suicidi e 6.902 atti di autolesionismo, riferiscono i dati di Antigone), già 11 in questi primi tre mesi del 2014. Ma il carcere è anche uno stigma difficilmente eliminabile: «Quando un nostro fratello esce – aggiunge –, lo consideriamo ancora un ex-detenuto, chiudendogli così le porte del riscatto sociale e lavorativo».
Nei commenti di Bregantini ci sono poi gli immigrati, con l’invito a «non chiudere la porta a chi bussa chiedendo asilo, dignità e patria». Le donne vittime della violenza dei maschi («piangiamo su quegli uomini che scaricano sulle donne la violenza che hanno dentro» e sulle donne «schiavizzate dalla paura e dallo sfruttamento», ma «non basta battersi il petto», ammonisce, bisogna agire). E i bambini vittime di abusi, «ingiustamente coperti», e uccisi dai «tumori prodotti dagli incendi dei rifiuti tossici»: è la Terra dei fuochi.
Intanto ieri pomeriggio papa Bergoglio ha celebrato la messa del giovedì santo nella Chiesa della Fondazione don Gnocchi, una struttura che accoglie disabili gravi. E 12 di loro – fra cui un musulmano di nazionalità libica – sono stati i protagonisti della tradizionale «lavanda dei piedi». Lo scorso anno, pochi giorni dopo la conclusione del Conclave che lo elesse papa, toccò ai giovani detenuti del carcere minorile di Casal del marmo. In attesa delle grandi folle dei prossimi giorni con la Pasqua e con le canonizzazioni, il 27 aprile, dei due papi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
L’abbuffata mediatica è assicurata.