San Francisco e il cinema si amano, non v’è dubbio. La città più dramatic d’America seppur lambita dal Pacifico, simbolo del Golden State eppure rigida da far rabbrividire Mark Twain (che, si sa, non conobbe mai un inverno freddo come l’estate a Frisco) è stata talmente rappresentata in pellicola e digitale da dispensare déjavu cinematografici ad ogni angolo.
Il Golden Gate è ormai patrimonio collettivo quasi come il ponte di Brooklyn, per averci scorrazzato su tutti almeno una volta con Michael Douglas quando percorreva le strade di San Francisco nell’omonima serie tv o con Dustin Hoffmann laureato; per le discese ardite e le risalite si sono scapicollati quasi tutti i protagonisti della cinematografia USA del secolo scorso: Robin William nei panni soffocanti di Mrs Dubtfire e Sharon Stone senza mutande in Basic istinct, il Maggiolino tutto matto e l’ispettore Callaghan. Anche la Walt Disney, attraverso i suoi classici studi di animazione e quelli acquisiti della Pixar, trova oggi nella Sylicon Valley il set delle sue favole tecnologiche: Big Hero 6 si ambienta in una San Fracisco nippo-distopica (San Frasokyo) mentre in Inside Out la città, col suo corredo di auto incastrate sulla Russian Hill e pizzerie vegane, è la migliore attrice non protagonista del film e quasi un sesto stato d’animo a oseé accanto ai cinque che governano la giovane Riley.
Il turista cinefilo non può perdersi il quartiere Castro dove Harvey Milk è vivo e lotta insieme a noi e anche le strisce pedonali sono arcobaleno (e al Castro Theatre proiettano The Wizard of OZ restaurato e un sacco di altra bella roba) né, qualche isolato più giù Mission District il quartiere più antico di San Francisco: lì, nella settecentesca Mission Dolores, Alfred Hitchcock girò la scena della visita al cimitero per il suo Vertigo, pellicola che a San Francisco – e alla California del Nord in genere – deve molto.
La protagonista del film infatti tenta (finge) il suicidio nelle acque della baia del Golden Gate, come molti purtroppo prima e dopo di lei (Il Ponte dei suicidi è un controverso documentario tutto sull’argomento, girato da Eric Steel nel 2006); la causa della paura dell’altezza che atterrisce Scottie Ferguson -James Stewart e dà il la alla storia, è la vista dai tetti della città vertiginosa i cui edifici sono versione urbana delle sequoie del Muir Woods National Monument, pochi miglia fuori San Francisco, dove pure è ambientata una scena cruciale del film. E sempre poco distante da San Fran, nel comune di San Juan Bautista, si trova il set della scena clou del film forse più famoso di Hitchcock e meglio conosciuto in Italia col titolo spoiler La donna che visse due volte. La cittadina in questione, pomposamente autoproclamantesi come La Città della Storia, è collocata nella contea di San Benito e conta circa 2000 anime senza considerare quelle del cimitero annesso alla chiesa della Old Mission: li sono sepolti 4000 nativi americani appartenenti alla tribù dei Mutsunes, evangelizzati ovviamente, ché i nativi in questione avrebbero per tradizione precolombiana praticato la cremazione.

Amministrata anche dal padre di quel Castro (Josè, leader dell’opposizione messicana nel 19° secolo) che dà il nome al quartiere iridato di San Francisco, San Juan Bautista deve la sua notorietà all’antica missione affacciata sull’unica plaza spagnola rimasta intatta in California dal Settecento. Disposti lungo i lati della stessa piazza ci sono quattro location fondamentali di Vertigo: la chiesa del tragico inseguimento tra Kim Novak e James Stewart, l’edificio che fu l’Hotel Plaza, la plaza Hall e le stalle annesse dove la coppia ripercorre le sequenze dell’incubo di Madeleine Elster alias Carlotta Valdes alias Judy Barton. Il luogo scelto da Hitchcock su insistenza della figlia del produttore associato del film mostra una certa personalità: non immolato al ricordo delle riprese anche se certamente compiaciuto (ci sono il caffè Vertigo e memorabilia cinematografiche incorniciate qua e là in altri punti di ristoro) è piuttosto vitale, anche perché la missione gestita da frati è ancora operativa e animata da un proprio turismo religioso, e la cittadina appare nel suo complesso più autenticamente legata alle sue origini amerindiane rispetto ad analoghe situazioni californiane (l’Old Town di San Diego ad esempio).
Se da una parte la piazza non ha cambiato di molto aspetto dall’epoca della sua fondazione dall’altra l’aria che tira sembra rimasta sospesa a quel primo autunno hitchckochiano di quasi sessant’anni fa, e questo nonostante l’emblema del film, il campanile del duplice volo, sia stato aggiunto in post produzione, ricostruito negli studi della Paramount così come le scale fatali. Il risultato è che l’Old Mission risulta al tempo stesso un posto familiare e straniante come si conviene al «doppio sogno» del plot che Hitchcock mutuò dal romanzo francese D’Entre les Morts di Pierre Boileau; a fine settembre San Juan Bautista ha ospitato, oltre a una mostra di cactus e piante grasse che sembrava organizzata da Spike il fratello di Snoopy, anche una giornata dedicata a Vertigo con proiezione del film nella piazza della missione antica, visita guidata alle location e conferenza a cura di Luis Camara, professore associato di Arti creative e tecnologia alla California State University di Monterey.
Camara ha indagato, oltre alla struttura a spirale del film, il tema del doppio in Vertigo, a partire dalla colonna sonora; le arie d’opera wagneriane tratte da Tristano e Isotta infatti sottolineano le assonanze tra la storia di Scottie e Madeleine e quella del mito celtico in cui, dopo il tentativo d’amare un alter ego del proprio impossibile oggetto del desiderio, d’amore si muore tragicamente.
La California è un set e uno stato d’animo che non potrebbe essere più lontano dal paesaggio inglese e dallo spirito in bianco e nero di Hitchcock. Questo fino a Vertigo dove la prima vertigine è appunto quella suscitata da San Francisco
Vero, anche se in effetti la storia d’amore tra Hitchcock e la California del nord ha preso le mosse già col suo primo film americano, Rebecca, girato nella riserva statale di Point Lobos, non lontano dalla missione di San Juan Bautista, anche se in quel film i cipressi e la scogliera recitavano la parte del paesaggio di Monte Carlo…nondimeno Hitchcock rimase intrigato dal luogo e prese casa a nord di Santa Cruz. Poi c’è stato L’ombra del dubbio girato nella sonnacchiosa Santa Rosa, a un’ora di macchina dal Golden Gate e infine Hitch è approdato a San Francisco dove ha girato a colori prima Vertigo e poi Gli Uccelli.
Il fascino che la California ha suscitato nel regista ha a che fare con la nebbia, le sequoie giganti antichissime e minacciose…tutto così distante da casa sua ma anche per altri versi dai paesaggi desertici del sud della California. Certo ha contato l’aspetto pratico della relativa vicinanza con Hollywood, dove poter lavorare negli studios, come pure quello enogastronomico della presenza dei vigneti della Napa Valley…una volta sistematosi qui Hitchcock ha trovato un’intimità con quest’area che poi ha esplorato girandoci i suoi film più famosi.
Nel vasto set californiano perlopiù raggiante Hitchcock trova l’elemento della paura dentro enclavi religiose europee: le missioni spagnole. In Vertigo l’incontro con la morte avviene a Mission Dolores a San Francisco e raggiunge il culmine a San Juan Bautista, dove Madeleine evoca la sua infanzia di proibizioni, le stesse che ammorbarono la prima giovinezza del regista in collegio dai gesuiti
Certamente la rigida educazione cattolica ha creato in Hitchcock una paura profonda dell’autorità che si vede riflessa in tutti i suoi lavori: i suoi protagonisti sono spesso innocenti perseguitati da figure incombenti, autorevoli, paternalistiche. Mostra inoltre nei suoi film una certa comprensione verso l’umana propensione al peccato e spesso rimarca la frattura che corre tra la dimensione pubblica che occulta i peccati e la vita privata che nel peccato indulge.
In Vertigo si trova anche un’allusione alla fede nella resurrezione dei corpi come pure una discesa nel senso di colpa che ovviamente deriva dalla profonda frequentazione del Cattolicesimo da parte di Hitchcock.
Vertigo, accolto tiepidamente nel 1958, è oggi considerato il film più intimo e personale di Hitchcock, concorda?
Si, Vertigo può essere considerato un autoritratto del suo regista (il ritratto di un manipolatore e creatore di artifici) ed anche un’ammissione delle sue più profonde ossessioni. Hitchcock sembra confermare, con “Vertigo” un fatto: ogni volta che ha amato una donna (come nel caso di Tippi Hedren) ha espresso il suo amore forzando l’oggetto del suo desiderio fino a renderlo copia conforme di un proprio ideale. Questo è un film sull’Artista che ama e distrugge.