Il 20 dicembre scorso, proprio in questa rubrica, eravamo stati facili profeti nell’immaginare che il torbido periodo della campagna elettorale avrebbe alimentato un fuoco di fila contro la riforma dell’ordinamento penitenziario.

Si erano già levate le proteste di alcuni sindacati di polizia contro la possibilità di garantire anche in Italia il diritto alla sessualità dei detenuti. Si sono aggiunte le trite litanie dei soliti imprenditori della paura sul rischio di una nuova legge salvadelinquenti.

Grazie a improvvide audizioni, le Commissioni Giustizia hanno offerto alle forze della conservazione una tribuna per gettare veleno sulle minime ipotesi di revisione delle preclusioni in tema di benefici penitenziari e alternative al carcere. La proposta del Governo ridà ai magistrati qualche margine di maggiore responsabilità nella valutazione sui singoli casi, ma questa considerazione del ruolo della magistratura di sorveglianza fa paura ai Torquemada contemporanei, secondo i quali permessi e alternative andrebbero concessi solo a chi in carcere non dovrebbe proprio starci, mentre gli altri possono pure morirci. Ma, nonostante tutto, i pareri delle Regioni, delle Camere e, infine, del Csm sono stati complessivamente favorevoli.

Il Coordinamento dei Garanti regionali e comunali dei detenuti ha espresso al ministro Orlando il proprio apprezzamento per la conclusione dell’iter parlamentare e alcune indicazioni per chiudere positivamente questo lungo lavoro che – a partire dagli Stati generali dell’esecuzione penale – ha coinvolto tante energie della società civile. Come Garanti siamo convinti che le osservazioni migliorative possano essere accolte, mentre ogni ipotesi di restrizione della portata della riforma debba essere respinta, a partire dalla reviviscenza di inutili e vessatori impedimenti legislativi ai benefici e alle alternative al carcere. Abbiamo in particolare richiesto che venga raccolta l’indicazione pervenuta dalle Commissioni parlamentari e dalle Regioni sul rispetto del principio della territorialità e sulla qualificazione sanitaria delle sezioni penitenziarie destinate ad accogliere i detenuti con problemi di salute mentale. Per quanto riguarda la delega in materia di affettività in carcere, sollecitata nel parere del Senato, suggeriamo come un significativo passo in avanti possa essere anche il semplice riconoscimento della possibilità di svolgere colloqui non sottoposti a controllo visivo (altro che guardoni!), lasciando a una successiva revisione del Regolamento la concreta disciplina delle modalità di svolgimento di incontri riservati con familiari e terze persone.

Se il Consiglio dei Ministri – convocato per domani – butterà il cuore oltre l’ostacolo, il decreto legislativo tornerà per conoscenza alle Commissioni e dopo dieci giorni potrà essere definitivamente adottato, ancor prima dell’insediamento delle nuove Camere. Ci sono, dunque, i tempi e le condizioni per portare a termine questo primo importante passaggio di riforma. Non sappiamo se nella prossima legislatura il Governo porterà a compimento anche le deleghe ancora in sospeso, a partire da quelle sul lavoro penitenziario e sull’esecuzione penale minorile, già trasmesse dal Ministero della giustizia a Palazzo Chigi, ma siamo di fronte a una occasione che non va perduta per rispondere alle condanne europee per trattamenti inumani e degradanti.

Nelle carceri si vive con speranza e trepidazione questo momento e proprio per essere solidali con i detenuti, domani, in attesa della decisione del Consiglio dei ministri, i Garanti territoriali delle persone private della libertà si uniranno a loro in una veglia civile di digiuno per la giustizia e il diritto.