Raffinato ritrattista del jet set, prima newyorkese e poi internazionale, in Amore e inganni, il waspissimo Whit Stillman adatta Jane Austen pensando a Henry James e senza dimenticare Edith Warthon, con questa sua lettura molto americana e pungente del romanzo epistolare della scrittrice inglese, Lady Susan. Completato intorno al 1794, ma uscito solo cinquant’anni dopo la morte della sua autrice, quest’opera giovanile dell’autrice di Senso e sensibilità, è il ritratto di una vedova bella e spregiudicata (Kate Beckinsale), rimasta priva dei mezzi necessari per sostenere una vita che le si confà nell’aristocrazia del tempo.

Affiancato dalle sue attrici di The Last Days of Disco (oltre a Beckinsale, Cloe Sevigny, nei panni dell’amica americana di Susan, Alicia Johnson), l’ex ragazzo delle notti brave di Park Avenue (ritratte magistralmente in Metropolitan) – oggi un signore stropicciato che ha superato la mezza età- inietta nella comica disperazione della sua vedova manipolatrice, e nella sua inesauribile vocazione alla sopravvivenza (sociale, ma anche del suo lato edonistico) una sfumatura autobiografica, affilata e commovente.

Inevitabilmente a caccia di un modo per «sistemare» sé stessa e forse anche per «piazzare» sua figlia Frederica, Lady Susan Vernon (bionda e con gli occhi grigi secondo Austen, ma a cui qui giovano i colori scuri e il piglio poco settecentesco dell’eroina degli Underworld), arriva a Churchill, la bella tenuta di campagna di suo cognato Charles Vernon, avvolta in una versione civettuola degli abiti da lutto e da un’aura di scandalo. Voci inorridite sul suo comportamento in un’altra casa dove è stata recentemente ospitata, quella dei Manwaring, l’hanno preceduta anche qui dove lei – sempre cortese e sorridente- non migliora la situazione scegliendo come preda, non un gentiluomo della sua età (35 anni, anche se ne dimostra 10 di meno), ma il giovane fratello della padrona di casa.

Il tutto pare  consumarsi in innocenti passeggiate fatte in giardino (Susan e Reginald De Courcy, il giovanotto in questione), conversazioni discrete sul divano del salotto (sempre loro due), lettere di panico (la cognata di Susan a sua madre), una casta proposta di matrimonio… Ma, come Austen, Stillman sa che per sopravvivere in un mondo del genere, ci vuole la forza, l’aggressività e l’inventiva di Rambo. Qualità che provvede in gran dosi alla sua protagonista, insieme a un candore sublime e molto divertente rispetto ai propri desideri e ambizione.

Forte di una sceneggiatura vivacissima, scritta prendendo a piene mani dal romanzo, Stillman inietta nel film più humor della maggior parte degli adattamenti di Austen. Belle le scene tra Susan e Alicia, l’unica amica con cui la vedova può confidarsi (arriva dal Nuovo mondo…), e che è perennemente minacciata dal vecchio marito di essere rispedita in Connecticut. L’affascinante Lord Manwaring (descritto da Austen come «un uomo divinamente attraente») è un furbo opportunista. E, quando, nella giungla di Churchill, arrivano la teen ager Frederica (sono finiti i soldi della scuola…) e il suo ricco, ridicolo, pretendente, James Martin, le nostre simpatie vanno alla (poco materna) Susan, piuttosto che a sua figlia -manipolatrice come lei, ma più convenzionale, piatta.

Come la letteratura di Jane Austen, il cinema di Whit Stillman è un cinema di maniere e di rituali del «privilegio» (la gioventù di Park Avenue, la disco life dei tardi anni novanta, le studentesse di un college Ivy League in Damsels in Distress, gli americani a Parigi nella sua serie per Amazon, The Cosmpolitans..). Parte della bellezza dei suoi film è la precisione naturale, aggraziata e libera, con cui mette in scena quei rituali e quelle maniere -nel loro fascino, nella crudeltà e nel ridicolo. Parte del genio della sua opera la sua capacità e l’intelligenza di renderli urgenti, contemporanei – quasi questione di vita o di morte.