Torna la lotta di classe in Ucraina: dal marzo scorso le regioni orientali del paese stanno conoscendo i più grandi scioperi nella grande industria da un ventennio a questa parte.

Tutto ha avuto inizio il 27 marzo scorso quando 400 lavoratori della ArcelorMittal, colosso multinazionale dell’acciaio, di Kryvyi Rih (città di oltre un milione di abitanti) si sono riuniti in assemblea e hanno deciso di entrare in stato di agitazione chiedendo un aumento del salario medio a 1000 euro al mese, una moratoria sui tagli al personale e ai processi di outsourcing.

In pochi giorni ben 12.000 lavoratori hanno sottoscritto la piattaforma di lotta e sono entrati in sciopero.

UNA LOTTA ANCORA in corso che si è ora allargata ad altre aziende del settore e tra i ferrovieri. «Ma tutto ciò non piove dal cielo, esiste una lunga tradizione di lotta e di organizzazione sindacale in Ucraina» racconta Maxym Kazakov professore di storia all’Università di Kiev e attivista del “Movimento Sociale” la più grande organizzazione della sinistra di classe ucraina.

Le ragioni sono varie: continua a giocare per esempio un ruolo la tradizione di sindacalismo indipendente sorta agli albori della perestrojka. Tuttavia il tratto peculiare, in questo caso, è dato dalla struttura dell’economia del paese: «Negli anni ’90 è cresciuta la quota del Pil ucraino prodotto dall’industria mineraria. E dal 2000 l’esportazione di acciaio è diventato la principale fonte di entrata del bilancio statale» spiega Kazakov. Una dinamica che ha reso però l’economia ucraina fortemente dipendente dagli andirivieni dell’economia globale.

Il Paese è rimasto ben lontano dall’egemonia del “lavoro immateriale” e ben poco influenzato dalle ideologie del post-industriale: i grandi profitti della ArcelorMittal, come di altre aziende del settore operanti nel paese slavo, sono stati realizzati evitando accuratamente la ristrutturazione degli impianti, limitando al minimo gli investimenti e con i bassi salari.

«Fino al 2005 – specifica Kazakov – nelle acciaierie della ArcelorMittal lavoravano 65.000 persone. Ora dopo la crisi del 2008 e una pesante cura dimagrante o “ottimizzazione dei costi” come la chiamano i padroni, i dipendenti sono scesi a 23.000».

Ma se questa situazione per lungo tempo ha prodotto ingenti profitti, ha anche fatto sì che i metalmeccanici ucraini, concentrati in grandi stabilimenti, restassero il settore più organizzato della classe lavoratrice ucraina.

LA MANIFESTAZIONE del Primo maggio a Kryvyi Rih è stata l’occasione per mettere in contatto i lavoratori della ArcelorMittal con altri lavoratori della regione: oltre 300 delegazioni di aziende grandi e piccole hanno partecipato al raduno.

Nel comizio finale, come ha riportato il giornale cittadino Chervony Girnyk, un delegato ha invitato i lavoratori a non emigrare in Europa occidentale: «In ogni caso all’estero resteremo persone di seconda classe. È qui che dobbiamo combattere per dei giusti salari! I funzionari sindacali non devono passare il tempo al mare ma a difendere la gente e i diritti umani» e ha concluso invitando gli operai all’unità: «Se gli oligarchi dell’azienda non ci offriranno un compromesso onorevole, abbiamo un’altra opzione: la rivoluzione».

Vector Media, altro quotidiano locale, ha messo in risalto la diffusione tra i manifestanti di un volantino del “Movimento Sociale” significativamente intitolato «1000 euro invece di 1000 parole». «La marcata ripresa del confitto sociale che sta avvenendo nelle regioni orientali del paese è sorprendente perché anche qui in questi ultimi anni sono cresciuti l’atomizzazione sociale, la celebrazione del neoliberismo, il nazionalismo e il razzismo. Ma in un quadro in cui la memoria di classe attraverso le strutture sindacali è ancora egemone» sostiene Volodimyr Ishscenko docente di sociologia a Kiev.

TUTTAVIA ANCHE le organizzazioni della destra estrema tentano di cavalcare il movimento dei lavoratori. Yuri Noyevyi dirigente di Svoboda, organizzazione neofascista ucraina, era anch’egli presente alla manifestazione del Primo maggio e ha tentato di arringare la folla con parole d’ordine contro «le plutocrazie occidentali ebraiche che affamano il nostro popolo» e contro il governo Poroshenko «servo della troika di Bruxelles».

A far cambiare qualità alla lotta è intervenuta la mobilitazione dei ferrovieri entrati in agitazione dal 14 maggio per aumenti salariali a livello europeo, la reintroduzione dei benefit d’epoca sovietica e la fornitura di nuove locomotive. I lavoratori hanno deciso di utilizzare lo strumento dello «sciopero bianco».

Desterà curiosità sapere che nei paesi ex sovietici lo «sciopero bianco» viene chiamato «sciopero italiano» in onore dei ferrovieri italiani che nel 1904 inventarono questo metodo di lotta.

I partecipanti allo «sciopero italiano» non si rifiutano di svolgere le proprie mansioni lavorative che viceversa seguono il più diligentemente possibile e in conformità alla legge, rallentando così notevolmente il lavoro.

L’agitazione dei ferrovieri iniziata a Kryvyi Rih si è poi allargata a Zaparoze, Dnepr, Poltava e Kiev, dichiarandosi apertamente in solidarietà con quelle nelle acciaierie.

DAL 19 GIUGNO poi hanno iniziato a mobilitarsi anche i minatori di 33 pozzi carboniferi concentrati nella zona centro-orientale del Paese che non ricevono una grivna ormai da sei mesi.

Il via lo hanno dato i “caschi gialli” di Zaporoze già in prima fila nelle lotte durante la perestrojka e negli anni della presidenza Kuchma

. Il 5 luglio scorso i minatori si sono poi dati appuntamento davanti alla Rada di Kiev con una promessa per i parlamentari: non fateci tornare ancora a protestare nella capitale o saranno guai seri.

«Non molleremo fino a che otterremo quello che ci spetta» dicono i lavoratori all’unisono. E la solidarietà inizia ad arrivare anche dall’estero: il 20 giugno il deputato laburista inglese Lloyd Russel-Moyle ha proposto una mozione al parlamento del suo paese a sostegno delle rivendicazioni dei lavoratori ucraini.