La mostra in corso al Maxxi Buone nuove. Donne in architettura, curata da Pippo Ciorra, Elena Motisi, Elena Tinacci presenta un titolo che rimanda a una ventata di positività, mentre il sottotitolo puntualizza il tema, quello dell’apporto delle donne nella professione. È sbagliato però pensare che si limiti a un’indagine sull’affermazione femminile; in realtà le buone nuove appartengono a un ragionamento molto più vasto, che mette in campo l’evoluzione dello status del progettista, della configurazione che la sua figura sta assumendo nella società.

NELL’IMMAGINARIO e nella tradizione il progetto è sempre stato opera dell’architetto, declinato esclusivamente al maschile singolare; questa figura, in realtà, ha sempre presupposto un mondo di collaborazioni, scambi e presenze più o meno dichiarate che, negli ultimi anni, sempre più spesso iniziano a comparire sulla scena, rendendo meno granitica ed esclusiva l’immagine del grande maestro. Quello che sino a ora risultava l’unico ed eroico deus ex machina, negli ultimi tempi è sostituito da firme al femminile, da autorialità diffuse in collettivi, gruppi di ricerca etc.

IN QUESTO DINAMISMO della società contemporanea, la figura femminile si afferma con presenze sempre più consistenti nella scena professionale e, nello specifico, in un campo come quello dell’architettura in cui la dimensione tecnica, costruttiva e strutturale è sempre stata territorio di pertinenza maschile. Buone Nuove affronta tali questioni, proponendo in mostra una ricerca molto densa, dove l’architettura diviene strumento di indagine e comunicazione di fenomeni complessi, stratificati nella storia antropologica e culturale dai primi del ’900 ad oggi.
Una volta entrati nella Galleria 2 del Maxxi, una serie di tavoli con oggetti di vario tipo, allestiti dall’architetto Matilde Cassani, ci restituisce in maniera tangibile e fenomenologica gli esiti concreti dell’indagine. Plastici, disegni e fotografie ci raccontano dell’evoluzione, capillare e sottile, del ruolo dell’architetto a dimostrare, ancora una volta, quanto consolidato e ravvicinato sia il legame tra architettura e società. La narrazione segue una scansione cronologica: dai primissimi anni del ’900, con le pioniere dell’architettura, le prime donne a laurearsi e ad affermarsi nel mondo della critica o della professione, passando poi per le avanguardie di studi formati da coppie o collettivi, alternativi alla figura del super maestro, per arrivare all’attualità, toccando alcuni temi stringenti come la gender equality, la sostenibilità e l’inclusività sociale.

L’ALLESTIMENTO rispecchia in maniera efficiente ed elegante il registro narrativo, alternando tavoli di approfondimento tematico con foto, testi e video interviste, a delle epifanie di plastici e disegni che affidano la comunicazione agli strumenti del progetto. Il modello in schiuma del centro di ricerca Richard Gilder dello Studio di Jeanne Gang, dal 1977 attivo con diverse sedi nel mondo, o il plastico in vimini appeso al tetto del Museo realizzato per il Padiglione Spagnolo per l’Expo 2010 di Shangai da Benedetta Tagliabue, capo dello studio Embt di Barcellona, piuttosto che le tende giganti che delimitano l’ambito dei progetti di Elizabeth Diller, fondatrice dello studio Diller + Scofidio dal 1981, appaiono come delle presenze enigmatiche nello spazio del Maxxi, oggetti a reazione poetica che riportano la narrazione al campo specifico dell’architettura, nella sua dimensione più performativa.

L’ORDINE CAOTICO e composto col quale sono allestiti gli oggetti in mostra sembra quasi rimandare alla progressiva polverizzazione dei significati sinora attribuiti alla figura dell’architetto e al concetto di autorialità. Chiude il percorso un grande arazzo che occupa la superficie di una parete del museo: si tratta di Unseen, un’installazione creata appositamente dalla progettista messicana Frida Escobedo, che rimanda all’opera di Anni Albers, una delle poche designer donne riuscite ad affermarsi nella storia Bauhaus. L’arazzo, nell’intreccio dei suoi fili, sembra rimandare all’immagine di un tappeto: una trama di storie, tra passato e presente, su cui sembra fluttuare questo percorso, lucidamente indagato e sapientemente raccontato nella mostra Buone Nuove.