Ci sono almeno due modi di leggere Pro Armenia – Voci ebraiche del genocidio armeno edito da Giuntina (pp. 130, euro 12): il primo riguarda la valutazione dei testi che vi compaiono in quanto fonti storiche: si tratta infatti degli scritti di tre diplomatici testimoni diretti del Metz Yeghérn, il «grande male», l’espressione armena per il genocidio perpetrato dai Giovani Turchi a cavallo dell’inizio della Prima guerra mondiale e del quale si è commemorato in questi mesi il centenario. A loro va aggiunto un giurista che contribuì a coniare la definizione del reato di genocidio.

Vi è però un altro crinale, che mette in gioco categorie interpretative diverse e che è dato dal criterio con cui nasce il volume curato da Fulvio Cortese e Francesco Berti: gli autori infatti sono tutti ebrei, un catalogo ebraico ha la casa editrice, e dalla tradizione ebraica proviene l’esergo: «Non restare inerte davanti al sangue del tuo prossimo», tratto dal libro biblico del Levitico. Era il 1915, mancavano alcuni decenni allo sterminio industrializzato nazista, eppure, diversi per formazione, identità, cultura, nazionalità e provenienza alcuni ebrei assistono alla strage e ne comprendono lo sconcio.
Le pagine di Pro Armenia riportano un inconsueto miscuglio di linguaggio diplomatico e reportage letterario, di saggio storico e testimonianza: elementi del volume che si offrono alla riflessione sugli ambigui e difficili confini tra storia e memoria che caratterizzano larga parte della discussione sulle fonti della ricostruzione storiografica in età contemporanea.

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Narrazioni da brivido
Lewis Einstein iniziò la sua carriera proprio presso l’ambasciata statunitense a Istanbul nel 1903 e vi rimase durante la Rivoluzione dei Giovani Turchi, del genocidio armeno descrisse prodromi, contesto politico internazionale e testimonianze: «L’umorismo macabro della sollecitudine paterna che di solito maschera i più brutali massacri in Turchia – scrive nel 1917 con la prima guerra mondiale ancora in corso – fu abbandonato per una politica armata di deportazione, e per la sua implicita conseguenza: lo sterminio» (…) e prosegue alcune pagine più avanti: «La terribile tragedia si estende in tutta la sua ferocia sull’intera Asia Minore. I suoi dettagli sono infiniti, perché dove centinaia di migliaia perirono, per quanti molti morissero nel silenzio, i racconti degli altri continuarono a librarsi come fantasmi».

André Mandelstam è invece ambasciatore russo a Costantinopoli. Fugge dalla Russia verso Parigi nel 1917 dove si dedica al diritto internazionale: si occupa soprattutto di diritti delle minoranze e fu fautore di una dichiarazione «sui diritti internazionali dell’uomo» che promuove a New York nel 1929 senza successo. Il suo racconto fa venire i brividi : «Voi non capite cosa ci proponiamo – riporta Mandelstam nel 1918 – disse il presidente di un comitato per la deportazione a un tedesco – Noi vogliamo cancellare la perfino il nome degli armeni, proprio come la Germania vuole lasciare in vita solo i tedeschi, noi vogliamo lasciare solo turchi».

È una testimonianza terribile, precisa, nel linguaggio e nelle indicazioni dei luoghi e dei modi del massacro, il testo presentato al Ministero della guerra a Londra il 16 novembre 1916 da Aaron Aaronshon, sionista, agronomo importante e uomo che in Palestina lavorò al servizio dei britannici contro l’impero ottomano: «I massacri armeni – conclude Aaronshon il suo reportage – sono frutto dell’azione praticata con cura dai turchi e i tedeschi certamente dovranno per sempre condividere con loro l’infamia di questa azione».

Il loro racconto è tanto più significativo perché allora furono tra le poche voci che cercarono di attirare l’attenzione su quanto stava accadendo: non ci riuscirono. Non è invece un testimone diretto Raphael Lemkin, giurista di fama internazionale, polacco, che riesce a raggiungere gli Usa nel 1941, primo autore della definizione giuridica di «genocidio» accolta oggi dalla «Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio» approvata dalle Nazioni Unite il 5 dicembre 1948.

Sul primo fronte, quello della storia e della ricerca, «si tratta di quattro voci diverse, di quattro distinti punti di vista sul ’grande’ genocidio armeno – scrivono Fulvio Cortese e Francesco Berti nella Postfazione – sui suoi presupposti e motivazioni; sulla continuità storica con altri episodi simili; sulle terribili modalità operative, sul delicato rapporto che a proposito è intercorso tra le istituzioni ottomane e le diplomazie europee; sulla questione della responsabilità politica cui imputare la commissione di queste atrocità, sia il tentativo di nasconderle al dibattito internazionale come al cuore e alla memoria di ogni uomo».

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Cupi riverberi
Sul significato da attribuire invece alla comune ebraicità degli autori sono le pagine della Prefazione della scrittrice Antonia Arslan: «Questo non è un romanzo: è una storia di armeni e di ebrei. Qui sono raccolte le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno».
Vi tornano anche Cortese e Berti: «Tutti gli autori sono ebrei. E la circostanza non può che far riflettere, visto che il loro corale lamento Pro Amenia può essere traguardato anche come triste presagio di chi, essendo sempre stato perseguitato, intravede in quel caso un angosciante salto di qualità, un precedente violentissimo capace, da quel momento in poi, di abbattersi anche su altri popoli, in primis, quello ebraico».

Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno è un libro singolare, in cui si incontrano voci e sentimenti, ragioni e culture, di chi ha evidente memoria di persecuzioni collettive e si misura con il genocidio di altri, scoprendo che gli è impossibile rimanerne indifferente. A «Izmit (…) – scrive Einstein – il vescovo rivestito dei suoi più bei paramenti sacerdotali, guidò il suo gregge, cantando l’inno che si dicesse cantassero i figli d’Israele quando fuggirono dall’Egitto». E aggiunge: «E così partirono, quasi sempre verso la morte». Mancavano ancora oltre venti anni alla Shoah, cento a oggi.