Nessuno dimentichi, nulla sia dimenticato»: questo il monito e il motto che guidò Ol’ga Berggol’c, la «Musa di Leningrado», la voce della sua radio nei terribili giorni dell’assedio della città (ne ricorrono a fine gennaio i settant’anni). Di questa fine poetessa e attenta cronachista il lettore italiano conosceva fino ad ora, oltre a alcuni testi poetici in antologie, l’incompiuto romanzo-confessione Le stelle si vedono di giorno. Oggi, molto meritoriamente, Marsilio propone nella bella traduzione e cura di Nadia Cicognini il Diario Proibito La verità nascosta sull’assedio di Leningrado, pubblicato in Russia postumo nel 1992, e poi ripubblicato con molti altri materiali e documenti inediti in una importante antologia del 2010. Il testo è accompagnato anche nell’edizione italiana dal poema Il diario di Febbraio, vivida e commovente testimonianza artistica che fu recitata dalla poetessa alla radio nei giorni della Blokada e che fa da pendant al suo celebre Poema di Leningrado.

Il Diario proibito costituisce una testimonianza storica e umana di grandissimo spessore, oltre a essere un documento di indubbio valore letterario. I suoi contenuti fanno ben capire perché l’autrice lo avesse a suo tempo nascosto e perché temesse una perquisizione: se è rimasto inedito fino a tempi recenti, lo si deve anche alle esplicite critiche mosse alle autorità sovietiche nella gestione dell’assedio. Il diario ripercorre anni durissimi della vita della poetessa, segnati certamente da quel terribile evento che nel diario viene laconicamente indicato alla data 22 Giugno 1941: ore 14 Gerra!, ma tocca anche gli anni precedenti, quelli del Grande Terrore che saranno forieri per la scrittrice di dolori e di perdite.

Ol’ga Berggol’c, nativa di Pietroburgo, aveva vissuto gli anni della rivoluzione e della guerra civile nella storica città di Uglic sul Volga, legata alla tragedia del piccolo Dmitrij, il figlio minore di Ivan il Terribile. Dopo gli esordi alla metà degli anni Venti, era divenuta nel decennio successivo una delle voci più promettenti della giovane poesia sovietica, a stretto contatto con la vivace vita letteraria di quegli anni. Aveva sposato, per poi presto lasciarlo, il poeta Boris Kornilov che sarebbe morto nel tritacarne delle purghe staliniane.

Già apprezzata da Cukovskij, Maršak e poi Maksim Gor’kij, la Ol’ga Berggol’c aveva seguito i corsi letterari dell’Istituto di storia delle arti di Leningrado, frequentando lezioni, tra gli altri, di Jurij Tynjanov e Boris Ejchenbaum. Nel 1934 con la raccolta Poesie curata da Nikolaj Tichonov aveva avuto un ottimo successo. La sua vita personale era stata complessa e segnata da molte tragedie, tra le quali la morte di due figlie e la perdita di un’altra (cui nel diario viene dato il nome di Stepka) durante la gravidanza dopo l’arresto (era stata accusata di essere membro di una organizzazione «rockisto-zinov’evista») e gli interrogatori nell’aprile del 1939 nell’ospedale della prigione femminile Arsenalka: «Due figlie ho seppellito / Io quando ero libera, / La terza figlia ha ucciso / Prima della nascita la prigione».

E, infatti, il Diario proibito si apre in data 15 VII 1939 con l’annotazione «Sono stata arrestata il 13 dicembre 1938 e la sera del 3 luglio del ’39 mi hanno rilasciato e sono tornata in libertà». I numerosi appunti che precedono lo scoppio della guerra, ricchi di sottotesti e rimandi letterari, ma immediati nel tono e nel linguaggio, sono interessanti tasselli per ricostruire lo stato d’animo di Ol’ga Berggol’c, ma più in generale degli intellettuali sovietici tra dubbio, sconforto e attesa della catastrofe. Le annotazioni di politica estera, i giudizi sulla guerra sovietico-finlandese, le critiche ai letterati ufficiali (interessanti le note alla lettura di Erenburg di passi del suo romanzo La caduta di Parigi nel dicembre 1940) costituiscono certamente elementi di rilievo per la ricostruzione dell’atteggiamento psicologico e intellettuale degli ambienti letterari sovietici nei confronti del potere, della politica estera e della guerra. Guerra, cui è dedicata, ovviamente, la gran parte del Diario, in un forte intreccio tra destino individuale e destino della nazione che per Berggol’c risulta ancora più forte, visto che era stata portavoce della città assediata. E così, alle note di vita sulla città ferita e morente, sul destino dei suoi abitanti, si combinano considerazioni sugli eventi bellici, sulle decisioni politiche e militari e poi annotazioni sul proprio lavoro alla radio e la cruda descrizione della propria vita, segnata dalla morte del secondo marito, Nikolaj (Kolja) Molcanov, e poi dall’arresto e il confino del padre medico (forse per il cognome di chiara origine tedesca «Bergholz»).

Di grande impatto l’incontro, in data 24 settembre 1941, con Anna Achmatova, la «Musa del Pianto»: «Ha compianto Tanja Gurevic (oggi tutti ricordano Tanja e si rammaricano) e giustamente ha detto: “Detesto, detesto Hitler, e detesto Stalin, detesto tutti quelli che sganciano bombe su Leningrado e su Berlino e che dirigono questa guerra vergognosa, orribile…”». Sullo sfondo del diario sembrano risuonare, quasi un leitmotiv, le note della Settima sinfonia «Leningrado» di Dmitrij Sostakovic che Berggol’c ascolta a Mosca in data 29 marzo 1942 e che svolge un ruolo importante nella sua stessa attività di «Musa di Leningrado» (non a caso, insieme al terzo marito, GeorgijMakogonenko, realizzerà la sceneggiatura del film documentario Leningrad skajasimfonija (Sinfonia Leningrado) del 1945).

Il diario si interrompe in data 20 agosto 1942 con un’annotazione che dopo aver registrato la possibile apertura di un secondo fronte dopo l’incontro tra Stalin e Churchill, si chiude con un quadro controluce, tra rassegnazione e speranza, con un cenno al marito morto: «sì, le cose vanno così: la gloria, l’invidia e i tedeschi a sud, e il bambino, che, a quanto pare, nascerà, ma Kolja alla fine davvero non c’è più? No, non c’è davvero più!». Nella città dilaniata un grido d’amore, la maternità perduta che segna tutto il diario e il sentimento di un genuino patriottiasmo.