Si afferra con maggiore pienezza la portata eversiva dell’enciclica Laudato si, di Papa Francesco – rispetto a tutta la tradizione millenaria della chiesa – se si tiene conto della storia del pensiero ambientalista. Nel 1967, uno storico americano, Lynn White jr, pubblicò su Science un saggio che fece scandalo. Nel suo Le radici storiche della nostra crisi ecologica, White sosteneva, con notevole precocità, che le condizioni di progressiva alterazione degli equilibri ambientali risiedevano nel dominio esercitato in Occidente dalla cultura religiosa giudaico cristiana.

Già nella Bibbia, nel libro della Genesi egli ritrovava le prime origini di quella cultura «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.». Era dunque la Chiesa, al centro dell’accusa.

L’ampia discussione che ne seguì ridimensionò in parte le argomentazioni di White.Qualcuno ricordò che della storia del cattolicesimo faceva parte anche San Francesco. Giusta osservazione, specie in questo caso.

Ma San Francesco fu una stella solitaria. Altri ricordarono che in Giappone, plasmato da una ben diversa storia religiosa, già a fine ’800 lo sviluppo industriale aveva generato gravi alterazioni ambientali. Vero. Ma ormai il capitalismo poteva vincere anche le resistenze religiose più radicate. In realtà nessuno poté sminuire il carattere per così dire fondativo della cultura cattolica nel plasmare il rapporto dominante uomo-natura nelle società dell’Occidente.

Del resto lo stesso Francesco – all’interno di un ragionamento “laico”- ammette che «il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura». Mentre Max Weber, che oltre a essere un grande sociologo era prima di tutto uno storico delle religioni, ha ricordato, nei sui studi sul capitalismo, come le religioni orientali, con il loro animismo, tendessero a rendere sacri non solo le altre creature, ma anche i territori, le acque le montagne…

Ora è vero che nel frattempo la Chiesa ha mutato la sua visione della natura. In questa enciclica Francesco ricorda i primi contributi “ambientalisti” di Paolo VI, quelli di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI. Ma la sua posizione è oggi dirompente: «Siamo cresciuti – scrive, a proposito della Terra – pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.. Ma non solo non siamo più padroni incontrastati, siamo fatti della stessa materia che stiamo distruggendo: «Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua vivifica e ristora». Qui papa Francesco fa proprio il più avanzato pensiero scientifico ambientalista. Si pensi alle affermazioni sorprendenti a proposito della biodiversità: «Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi.».

Anche se non appare citato Edgar Morin, con i sui studi pubblicati nei volumi della Méthode, o la vasta letteratura ecologista radicale, l’impronta a me pare onnipresente. Non meno coerente con tale impostazione la critica alla cultura dominante: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri.».

Ma un altro aspetto della radicalità eversiva di questa enciclica risiede a mio avviso nel fatto che papa Francesco evidenzia costantemente la connessione tra la violenza alla natura e dominio di classe: lo sfruttamento esercitato dalle potenze economiche del nostro tempo contro i poveri della terra. Egli coglie «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta» e mette in luce come il saccheggio delle risorse colpisce l’economia delle popolazioni, mentre l’inquinamento danneggia in primo luogo i più deboli. E non rimane nel vago.

E’ il caso di una risorsa come l’acqua. «Un problema particolarmente serio è l’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni giorno». Problema che non è frutto della fatalità: «Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.».

Infine un altro elemento sembra dare a questa enciclica un profilo politico di assoluta novità. E’ la denuncia, se non di un nemico, certamente di un avversario. Sappiamo che in passato la Chiesa non ha mancato di esprimere denunce serrate alla società capitalistica e alle sue ingiustizie. Nella sua dottrina sociale, negli ultimi decenni, è venuta accentuando la radicalità di queste critiche. Ma alla fine una sintesi ecumenica finiva col rendere indistinguibili i responsabili. Gli agenti, i reali vessatori, assumevano un profilo evanescente. Il papa, naturalmente non può scendere in casi particolari, ma denuncia apertamente – come ha ricordato E.Scandurra( il manifesto, 23/6) – che «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi ».

E il problema del debito dei paesi è lumeggiato come meglio non si poteva:«Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso».

E poiché il papa ha parole per tutti, non manca di ricordare le responsabilità dei governi e del ceto politico del nostro tempo: «La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente».

Dunque, la Chiesa, la più antica istituzione di potere della storia umana, per due millenni strumento di controllo e conservazione sociale, rovescia il suo passato e lancia la sua sfida aperta ai poteri del mondo laico. Lo fa, naturalmente col suo linguaggio, che può essere quello di tutti, credenti e non credenti: «Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale». Credo che la sinistra debba cogliere questa svolta culturale che fa epoca.

Essa può ritrovare il suo universalismo perduto, quell’ ”internazionalismo proletario” , naufragato con l’involuzione autoritaria dell’Urss, che era stato la stella polare di diverse generazioni. In Italia ha un grande precedente storico cui ispirarsi. Quando, ai primi anni ’60, emerse la figura di Papa Giovanni e si aprì il Concilio Vaticano II, il Partito comunista avviò un ampio dialogo con il mondo cattolico, sui temi della pace nel mondo e dell’emancipazione sociale. Ne seguirono conseguenze politiche di grande portata, con tante nuove forze che entrarono nella lotta politica progressista.

La salvezza della casa comune della Terra oggi è il nuovo terreno di dialogo. Ma occorre un mutato paradigma e nuovi dirigenti politici all’altezza della sfida, che non possono certo essere i giovani “rottamatori” di oggi, in realtà rappresentanti del fronte avversario, tardi epigoni di una cultura senza avvenire.